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La beauty care maschile? Un mezzo tabù. Curarsi non è cosa da uomini

Nonostante la situazione stia rapidamente evolvendo il mondo della cosmesi maschile o genderless rimane una nicchia rispetto a quella femminile. Alla base di ciò stereotipi di genere spesso avallati dal marketing.

La beauty care maschile? Un mezzo tabù. Curarsi non è cosa da uomini
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Agostino Forgione Modifica articolo

4 Agosto 2025 - 13.26


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Curarsi non è – ancora – cosa da uomini. Una delle più fulgide prove di ciò la fornice la pubblicità, che come sempre affermo costituisce ottima materia d’indagine su fenomeni e tendenze sociali.  Leggo l’ennesima descrizione di una crema per il viso. Uno studio interno afferma che su un campione di 70 donne il 90% riscontri un incarnito più uniforme e una pelle meno impura. Poi quella di un siero all’acido ialuronico, utile a rimpolpare e rendere meno evidenti rughe e linee sottili del volto: a seguito di un test di cinque giorni con due applicazioni al dì “L’85% delle donne dichiara che grazie al siero ha ridotto la secchezza della pelle e ne ha migliorato l’elasticità”.

Mi guardo allo specchio. A quanto pare non costituisco un target abbastanza succulento per il settore della beauty care. Ciò ha rivolti quasi paradossali: a me come a un’ampia fetta di uomini curarsi piace, ma spesso i prodotti che acquisto vengono pubblicizzati per un pubblico femminile. Se il fine della pubblicità è quello di far germogliare un desiderio d’acquisto, in questo caso accade esattamente il contrario. Propongo al lettore una scommessa: che legga i testi minuti cui riportano gli asterischi dei prodotti cosmetici che ha in casa, se ne ha. Molto probabilmente buona parte degli studi a prova dei loro benefici sono stati condotti esclusivamente su donne.

La cura personale maschile viene rappresentata ancora come castrata, ridotta, rispetto a quella femminile. È questa l’innegabile verità che emerge prepotentemente facendo un giro tra gli scaffali di una qualsivoglia profumeria. Sulle confezioni dei prodotti destinati alla skin care, tanto per fare un esempio, è cosa assai rara trovare il volto di un uomo, a essere ritratte sono per lo più donne. L’interesse commerciale verso i primi contempla in buona parte “solo” prodotti alla base dell’igiene personale: bagnoschiuma, deodoranti e shampoo. Per non parlare poi dei detergenti intimi: mi ha sempre fatto sorridere come interi scaffali siano pieni zeppi di prodotti “ginecologicamente testati” ma mai ne abbia visto uno “andrologicamente approvato”.

Sebbene il concetto di virilità diventi – grazie a dio – sempre più sfumato e meno vincolato a prescrizioni sociali di stampo patriarcale, il mondo della cosmesi rimane ancora “cosa per donne”. La cronaca più o meno recente fornisce molti esempi a riguardo. Non è passato molto da quando vedere dello smalto sugli uomini suscitò un clamore mediatico paragonabile a quello dei casi d’interesse nazionale più eclatanti, parabola che ha accomunato anche il lancio dei primi fondotinta da uomo. In un paese conservatore come il nostro, ancora intriso da stereotipi di genere, non poteva accadere il contrario. E del resto a sostenerli sono spesso – e purtroppo – proprio i nostri politici, basti pensare alle recenti parole dell’europarlamentare italiano che ha tacciato i partecipanti dei pride di scarso valore militare.

È all’interno di questo quadro che si inscrive la nascita di una nicchia di mercato, che tuttavia sta guadagnando sempre più spazio, di prodotti pubblicizzati come espressamente per uomo o comunque genderless. Già, perché è importante puntualizzare che spesso al di là di come vengano pubblicizzati non esista alcuna differenza qualitativa tra un prodotto femminile e uno maschile, eccetto per caratteristiche come la fragranza o la colorazione. In merito è interessare notare come per effetto del marketing alcune categorie merceologiche costino di più nella loro variante da uomini e viceversa. Un fenomeno a cui alcuni danno il nome di pink e blue tax. Secondo uno studio di Federconsumatori gli shampoo costano il 67% in più nella loro versione maschile, le creme per il viso e i deodoranti rispettivamente il 68% e il 51% in più in quella femminile mentre le creme per il corpo il 32% in più in quella maschile.

In ultima battuta l’auspicio è che il lettore rifletta su come spesso a porre i paletti tra cosa sia considerato maschile e cosa femminile siamo noi stessi, ricorrendo a metri unicamente culturali e soggettivi. Il marketing a riguardo non ha tante colpe se non quella, in effetti non trascurabile, di alimentare tali bolle: si limita unicamente e riprodurre quelli che sono gli stereotipi già presenti nella società. L’invito è dunque quello di consumare consapevolmente senza lasciarci influenzare, per quanto possibile, dalle costrizioni sociali e dalle dinamiche pubblicitarie che su queste si innestano.

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