In vista del referendum dell’8 e 9 giugno, un interessante articolo firmato da Simona Buscaglia su Wired ci illustra le caratteristiche di chi chiede e ottiene la cittadinanza nel nostro paese, basato sull’analisi dei dati raccolti dall’Istat dal 2002 al 2024 (questi ancora parziali), eseguita dalla Fondazione Ismu, che sta per Iniziative e Studi sulla Multietnicità. Il merito della ricerca sta nell’essere andata in profondità, cercando di capire le motivazioni per rendere la complessità del fenomeno.
Il primo dato interessante è l’età: il 48% ha meno di 30 anni, di cui la maggioranza con meno di 20 anni. Altro dato importante, l’aumento dell’acquisizione della cittadinanza italiana negli ultimi tre anni da parte di chi ha parenti migrati nel nostro Paese, più di 200mila unità per il terzo anno consecutivo. Si è visto infatti, già dai dati 2023, come circa la metà dei nuovi italiani abbiano ottenuto la cittadinanza con modalità diverse dalla residenza, ossia come figli minori di genitori divenuti italiani, come neo-maggiorenni nati e residenti in Italia e per discendenza (ius sanguinis).
Giorgia Papavero, ricercatrice del settore Statistica di Fondazione Ismu, spiega: “Si tratta di numeri dovuti a diversi fattori, tra questi, ad esempio, il fatto che ora vediamo in parte il risultato di quel processo d’integrazione cominciato per una prima generazione di migranti almeno 10 anni fa. Negli anni inoltre è diminuita la quota di coloro che sono diventati italiani tramite il matrimonio: oggi ci sono più migrazioni familiari, con persone che hanno costituito o ricongiunto la famiglia qui in Italia, aumentando anche la quota di minori. Per alcuni di loro, inoltre, il percorso è stato più lungo di dieci anni, magari perché per un periodo sono tornati nel proprio Paese d’origine, e solo adesso sono riusciti a concludere il percorso”.
Il requisito della residenza, interessato dal quesito referendario, riguarda il 40% delle nuove cittadinanze, mentre solo il 12% ha acquisito la cittadinanza per matrimonio con italiani. Come noto, la naturalizzazione si acquisisce dopo 10 anni di residenza legale e continuativa in Italia per gli immigrati provenienti da Paesi extra Ue, mentre rifugiati e apolidi devono attendere 5 anni, e i cittadini comunitari 4.
Riguardo la nazionalità di chi chiede la cittadinanza, sempre dai dati consolidati del 2023 emerge come non esista un “gruppo” predominante: gli albanesi rappresentano il 15% del totale, seguiti dal 13% di marocchini e dagli argentini, con un numero più che quadruplicato, passando dai 3600 del 2021 a oltre 16mila nel 2023; al quarto posto i romeni, al quinto i brasiliani.
Precisa Papavero: “Quella albanese e marocchina sono due comunità che hanno una presenza consolidata da molti anni nel nostro Paese, per loro quindi il percorso di integrazione e stabilizzazione si traduce poi con un più alto numero di nuovi italiani. Per Argentina e Brasile l’acquisizione è soprattutto per discendenza, perché hanno avi italiani. In graduatoria solo questi due paesi rappresentano circa 30 mila nuove cittadinanze nel 2023. Al quarto posto troviamo la Romania, sono la comunità numericamente più importante in Italia ed essendo europei per loro sono richiesti 4 anni di residenza per poter presentare domanda”. E aggiunge: “Dai dati delle nostre survey, dove eseguiamo delle interviste dirette che ci aiutano a evidenziare dati che sfuggono a quelli ufficiali, vediamo che tra le motivazioni che spingono a richiedere la cittadinanza c’è il fatto di non avere più problemi con la burocrazia, la libera circolazione in Europa per chi non la possiede già con il proprio passaporto e una condizione migliore per la propria famiglia”.
Ma non tutti sono interessati a diventare italiani, per l’impossibilità di avere due cittadinanze pena la perdita di quella d’origine, come per cinesi e indiani, oppure perché intenzionati a tornare nel paese d’origine, o ancora perché il permesso di lungo soggiorno è ritenuto già sufficiente (da due milioni di stranieri, secondo i dati Istat del 2024).
Spiega la ricercatrice della Fondazione: “Il permesso di lungo soggiorno non richiede il rinnovo e consente alcuni vantaggi come la mobilità in Europa, con alcuni limiti, oltre al fatto di poterlo chiedere anche per i familiari. Rispetto alla domanda per la cittadinanza italiana, questo si può fare calcolando 5 anni di presenza legale, con regolare permesso di soggiorno”. Il permesso di lungo soggiorno non permette però i diritti politici, cioè la possibilità di poter votare e di candidarsi alle elezioni.
La scrittrice e sociologa Sumaya Abdel Qader denuncia l’esistenza di impedimenti burocratici che a volte rendono molto difficoltose le procedure per richiedere la cittadinanza, come la momentanea interruzione della residenza: “Accade spesso ai figli di immigrati perché i genitori magari tornano nel paese di origine, alcuni fanno su e giù, e in questo modo si perde la residenza continuativa”.
Qualcosa nell’analisi potrebbe già cambiare con i dati consolidati del 2024, vista l’approvazione della legge che limita la modalità di acquisizione per discendenza: “Prima era possibile richiederla fino alla quarta generazione di discendenza, oggi, con la nuova norma, solo fino alla seconda e questo potrebbe creare uno scossone nella divisione di questi dati, facendo scendere ad esempio il numero di acquisizioni per ius sanguinis. La forte richiesta di queste persone può avere diversi motivi. Qualcuno sostiene che sia per i problemi interni nei Paesi dell’America Latina, che hanno attraversato, come l’Argentina, una crisi piuttosto importante. Altri ritengono invece che una cittadinanza europea con un passaporto forte consenta loro maggiori spostamenti in altri Paesi europei” conclude Papavero.