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L’Italia non firma la dichiarazione Ue sui diritti Lgbtqia+

Insieme a solo otto Stati su ventisette il nostro Paese fa un ulteriore passo indietro sui diritti umani a dispetto della dichiarazione contro l’omofobia firmata solo dieci giorni prima

L’Italia non firma la dichiarazione Ue sui diritti Lgbtqia+
La Rainbow Map di Ilga-Europe
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24 Maggio 2024 - 18.59


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di Lorenzo Lazzeri

Con una decisione imbarazzante, l’Italia, insieme ad altri otto Stati membri dell’Unione Europea – Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia – ha scelto di non aderire alla dichiarazione tendente a promuovere le politiche favore delle comunità Lgbtiq+ e a sostenere la nomina di un nuovo commissario per l’uguaglianza. La proposta è arrivata dalla presidenza belga della Commissione, il 17 maggio, in occasione della giornata mondiale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia,

Si è manifestata così ancora una volta la visione anacronistica dei diritti umani da parte del governo italiano che, come per la controversa legge Zan, ha giudicato la proposta europea troppo sbilanciata sull’identità di genere. Eppure, solo pochi giorni prima, l’Italia aveva firmato una dichiarazione contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia del Servizio di Azione Esterna Ue, un impegno che sembra ora svuotato di significato.

Nell’incontro di Bruxelles, avvenuto proprio sul finire del mandato europeo che per la prima volta includeva un Commissario incaricato dell’uguaglianza, è scaturita una discussione intorno ai progressi e agli ostacoli evidenziati dall’attuazione della strategia dell’Ue sulla parità di diritti delle persone Lgbtiq+.  Da questa discussione è nata la dichiarazione congiunta che ha visto tutti i restanti Stati membri sottoscriverla e impegnarsi a promuovere strategie nazionali per i diritti Lgbtiq+ e a sostenere la nomina di un nuovo commissario per l’uguaglianza nella prossima Commissione.

Le reazioni in Italia

In Italia, la decisione di non firmare la dichiarazione ha suscitato immediate reazioni. Igor Suran, direttore esecutivo dell’associazione Parks – Liberi e Uguali, ha espresso delusione per la decisione italiana sottolineando, nel contempo, l’impegno continuo delle aziende e delle istituzioni associate a Parks nella creazione di ambienti di lavoro inclusivi. Stessa delusione condivisa nel campo progressista della politica dove figure come Elly Schlein e Giuseppe Conte hanno criticato aspramente il governo, accusandolo di fare campagna elettorale a spese delle persone discriminate.

La classifica annuale Rainbow Map di Ilga-Europe (l’associazione che mappa ogni anno la violazione dei diritti umani in base alle leggi e politiche che hanno diretto impatto sulle persone Lgbtiq+) riflette il peggioramento della situazione in Italia scesa al 36esimo posto su 49 nazioni europee con un punteggio di appena 25,41%, ben al di sotto della media Ue del 50,60%. Questo calo è attribuibile allo stallo delle politiche legislative e agli attacchi contro le famiglie arcobaleno, oltre che a un clima pubblico sempre più ostile.

L’Italia, oltre a non firmare la dichiarazione, ha un disegno di legge che intende rendere la maternità surrogata un “crimine universale”, punibile anche se commesso all’estero, una proposta che non ha eguali nel panorama legislativo europeo. Una legge che rappresenterebbe una chiara violazione dei diritti umani, non solo per la comunità Lgbtiq+, ma per tutti i cittadini.

In ambito lavorativo, un sondaggio condotto da Istat-Unar ha rivelato che una persona Lgbtiq+ su quattro ha subito discriminazioni sul posto di lavoro. Il 34,1% dei rispondenti ha dichiarato che il proprio orientamento sessuale ha rappresentato uno svantaggio in termini di riconoscimento e apprezzamento delle proprie capacità professionali, mentre il 30,8% ha riscontrato ostacoli negli avanzamenti di carriera e nella crescita professionale.

Il rifiuto italiano di firmare la dichiarazione europea sui diritti Lgbtiq+ si inserisce in un contesto politico nazionale polarizzato. La retorica della destra e dei conservatori vede in queste politiche una minaccia ai “valori tradizionali” ma che in realtà serve ad alimentare paure e pregiudizi e, di conseguenza, consenso elettorale. Al contrario, i sostenitori dei diritti Lgbtiq+ e i progressisti vedono in queste leggi un passo verso una società più equa e inclusiva, e sentono la necessità di una riforma che protegga e promuova i diritti delle persone che si riconoscono in questo gruppo

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