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Green Heritage Project, la cultura in campo per il clima

Nel corso dell'assemblea generale del Centro Internazionale di Studi per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali si è parlato del ruolo del patrimonio nelle strategie di adattamento ambientali

Green Heritage Project, la cultura in campo per il clima
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14 Dicembre 2025 - 18.38


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La cultura come strumento per la riduzione del rischio di catastrofi ambientali. Questo è quanto emerge dalla trentaquattresima sessione dell’assemblea generale dell’Iccrom, il Centro Internazionale di Studi per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali, che ha ospitato l’incontro “Nesso Cultura-Clima: l’anello mancante“.

L’evento, moderato dalla direttrice generale dell’Iccrom Aruna Francesca Maria Gujral, ha visto protagonisti ministri e diplomatici, che hanno ragionato sulla possibile integrazione del patrimonio culturale nell’azione per il clima e nella riduzione del rischio di catastrofi.

Numerosi sono stati i temi discussi durante l’incontro, e un risultato chiave della sessione è stato il riconoscimento unanime che la cultura deve muoversi dai margini al centro della pianificazione climatica e della resilienza. Un buon punto di partenza per cercare di scrivere un futuro diverso nel delicato ambito dei cambiamenti climatici.

Tuttavia, per provare a raddrizzare la drammatica situazione a livello ambientale, diverse tessere del puzzle si devono incastrare. A partire da un aumento degli investimenti, una cooperazione intersettoriale e un’integrazione diretta di quest’ultima nei quadri politici sia nazionali che internazionali.

Entrando nello specifico dell’evento, il Guatemala ha posto l’accento sul valore intrinseco della terra. Infatti, come affermato dalla ministra dello stato centro-americano Liwy del Carmen Grazioso Immacolata, “la terra detiene un’identità viva, e la rivitalizzazione delle pratiche ancestrali e dell’istruzione è fondamentale per forgiare percorsi sostenibili”. 

Quanto al Pakistan, nonostante il suo contributo minimo alle emissioni globali, il Paese affronta gravi impatti a livello ambientale, e per lo stato dell’Asia meridionale la perdita di paesaggi dovuta a eventi estremi significa anche “la perdita di memoria e identità culturale”.

Invece, la Repubblica Dominicana, situata in una delle zone più colpite dagli uragani, sta utilizzando la salvaguardia del patrimonio come un “meccanismo vitale per sostenere i sistemi idrici, il turismo sostenibile e la coesione comunitaria”, evidenziando il ruolo cruciale della collaborazione interministeriale.

Martin Selmayr, ambasciatore per l’Unione Europea, ha invece affermato che la cultura “deve svolgere un ruolo centrale nella politica climatica”, citando come esempio iniziative come l’EU’s Green Heritage Project, che collegano il patrimonio immateriale all’azione per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO2).

Spostandoci in Africa, il Kenya sta investendo nel nesso cultura-clima, riconoscendo che la conoscenza indigena è in grado di guidare la gestione della siccità e la gestione forestale, essendo “inseparabile dalla terra e dall’identità comunitaria”.

L’Azerbaigian, il Paese più grande del Caucaso sia per superficie che per popolazione, con il programma “Culture for Climate” (lanciato durante la sua presidenza Cop29) sta sfruttando tradizioni, arte e patrimonio per “guidare il cambiamento comportamentale e le soluzioni sostenibili”.

Infine, tra gli interventi degni di nota troviamo quello della Lettonia, con lo stato Baltico che ha sottolineato come i rischi per i paesaggi e il patrimonio costruito richiedano un’educazione precoce e la ripresa di pratiche tradizionali di architettura e gestione del territorio per il rafforzamento della capacità di risposta.

Insomma, in seguito a questo importante incontro possiamo guardare leggermente più fiduciosi al futuro del nostro pianeta, anche se non dobbiamo scordarci che il peggior nemico dell’ambiente è l’essere umano, che è sì capace di azioni molto positive, ma anche di distruggere ciò che lo circonda in qualunque momento.

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