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L’emancipazione di Barbie, la bambola diventata un cult

Dal 1959 Barbie è riuscita a sopravvivere alla ruota capitalistica dei giocattoli per bambini con strategie di marketing infallibili. Tutt’oggi, però, la figura di Barbie è vista e vissuta in modi diversi: emancipatrice o stereotipo?

L’emancipazione di Barbie, la bambola diventata un cult
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4 Aprile 2023 - 17.12


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di Irene Perli

Il calendario segna l’anno 1959. Ti chiami Barbara Hendler e tua madre, Ruth Handler è socia dell’azienda Mattel, insieme a tuo padre Elliot Hanndler e Harold Matson. Dopo la scuola torni a casa e puoi permetterti di giocare con delle bambole di carta. Ti è sempre piaciuto osservare ciò che fanno gli altri e curiosare su cosa parlino, la domenica mattina, i vicini di casa? Non sapendolo, usi la fantasia e metti in bocca, a quelle bambole di cartone, tante storie. Ma non sai, però, che la tua mamma ti sta osservando. Lei, allora, a tua insaputa, decide di utilizzare la sua azienda per creare ciò che sarebbe diventato in futuro più che un semplice giocattolo, più che una semplice bambola. Tu sei Barbara, ovvero “Barbie” Hendler, un’icona che non è mai passata di moda.

Il primo modello della bambola fu presentato alla Fiera Internazionale del giocattolo di New York, il 9 marzo dello stesso anno: alta poco più di 29 centimetri, in proporzione con il corpo di una vera donna alta 175 centimetri le sue misure sarebbero state 91 di seno, 86 di fianchi e 46 di vita. Inverosimili. Secondo l’International Journal of Eating Disorders se esistesse una donna con queste fattezze avrebbe seri problemi di salute: non avrebbe un ciclo regolare e la sua deambulazione sarebbe difficoltosa a causa della lunghezza delle gambe maggiore del 50% di quella delle braccia. Molte furono le critiche iniziali: si credeva che nessuna bambina avrebbe voluto giocare con una bambola adulta. Inutile dire che tali critiche si rivelarono infondate e  solo nel primo anno furono venduti più di 350mila pezzi.

Nelle sue varie collezioni, Barbie ha assunto molteplici forme, fra le quali modella, insegnante, infermiera, ballerina, assistente di volo e astronauta. Alla base di tutte le differenti versioni c’è un leitmotiv, ovvero la vision di Barbie, che combacia con il motivo della sua creazione: “mostrare alle bambine che sarebbero potute diventare chiunque desiderassero”. Tramite le varie collezioni di Barbie, Mattel si è sempre fatta promotrice di parità di genere, ma non tutti hanno recepito questo messaggio.

Per anni è stata un bersaglio di critiche: chi sosteneva promuoveva un’immagine di donna irraggiungibile, esattamente l’opposto di donne che si andavano emancipando sia dal punto di vista sociologico sia lavorativo. Anche la promozione della prima Barbie afroamericana ha attirato critiche: cambiare solo il colore della carnagione, lasciando connotati e corpo invariati non è stato visto di buon occhio, lasciando trasparire la velata egemonia della Barbie bianca.

Mattel, però, in sintonia con la sua vision, ha progressivamente accolto le critiche, iniziando, negli anni Novanta, il progetto “Project Dawn” e la linea “Fashionistas”, che ha proposto modelli più simili alla realtà. Con un totale di 7 tonalità di pelle, 24 pettinature diverse, 22 colori degli occhi e 3 diverse silhouette (curvy, petite e tall), Barbie è rinata evidenziando la diversità come valore inclusivo e non denigratorio. Ha poi inserito anche modelli di bambole con disabilità, fra i quali il modello di Barbie in sedia a rotelle, e il primo modello di bambola con indosso l’hijab.

Il cambiamento e l’adattamento delle bambole alla diversità del corpo delle donne non poteva essere sufficiente per far sopravvivere Barbie nella macchina capitalistica dell’intrattenimento per bambini. Per questo si è elaborata una strategia più raffinata  proprio per far si che Barbie mantenesse il suo prestigio, superando i gusti delle diverse generazioni per diventare non solo un ricordo ma anche l’icona anche per l’oggi.

Innanzitutto le storie promosse da Mattel sul corredo di personaggi dell’universo di Barbie, come le sue amiche e il fidanzato Ken, hanno creato un legame sentimentale profondo con i fan del marchio. Mattel ha inoltre espanso l’offerta di prodotti Barbie per bambine, come abiti cosmetici e videogiochi. L’azienda ha poi sfruttato il principio di scarsità per il quale si afferma che le risorse risultano più desiderabili quando la loro disponibilità viene limitata: molte barbie infatti sono in edizione limitata, promuovendo anche il collezionismo.

Barbie si è anche appropriata di una narrazione transmediale: innumerevoli cartoni animati ispirati alle storie di Barbie sono stati prodotti per i bambini. Anche l’industria musicale si è ispirata a lei, producendo alcune canzoni come Barbie Girl di Aqua e la più recente Not Your Barbie Girl di Ava Max. A luglio di quest’anno uscirà inoltre Barbie, il primo film per il grande schermo, che vedrà l’attrice Margot Robbie nel ruolo della bambola più famosa del mondo.

Quello che mi chiedo è questo: se Barbie ha cercato di fare della diversità il suo segno distintivo, perché sugli scaffali dei negozi di giocattoli si trova sempre e comunque la bambola bionda e magra? Anche la canzone Barbie Girl non è di buon auspicio perché lascia trasparire la visione della bambola, e di conseguenza della donna, solo come un oggetto con il quale potersi sbizzarrire: Ava Max ha infatti ripreso il testo di Barbie Girl rovesciandone il significato.

La questione però rimane aperta: non è chiaro se Barbie sia riuscita a trasmettere la sua brand identity di donna emancipata, o se le critiche ricevute durante gli anni siano ormai indelebili, lasciando la bambola nell’alone dello stereotipo di genere. Intanto i più continuano a collezionarla e i prezzi di alcune Barbie, considerati delle rarità, sono saliti alle stelle.

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