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La storia di Eddo, antifascista arrestato dal regime

Pubblichiamo un brano da "Una luce sottile", romanzo di Bianca Tarozzi ispirato a suo padre, giornalista (anche dell'Unità) che finì in carcere, e a sua madre

La storia di Eddo, antifascista arrestato dal regime
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16 Maggio 2019 - 22.48


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“Una luce sottile. Storia di Eddo e Mary” (Iacobelli Editore 2015, pp. 291, euro 14) è il romanzo in cui Bianca Tarozzi racconta, come la scrittrice e poetessa spiega, l’arresto e la prigionia da parte degli scagnozzi fascisti di suo padre Leonildo Tarozzi trasposto nella narrazione con il nome di Eddo (Leone Edoardo) Gasperi.

Leonildo Tarozzi era stato giornalista alla Squilla, poi all’Ordine Nuovo, infine a l’Unità. Venne arrestato il 26 gennaio 1926 a Firenze perché era membro del Partito Comunista e perché aveva molte copie di un giornale clandestino, il Comunista appunto, che aveva l’incarico di diffondere in Emilia Romagna e in Toscana insieme a una compagna di distribuzione, Zaira Cianchi, fiorentina. Il giornalista venne condannato dal Tribunale Speciale nel 1927 a quasi quindici anni di carcere.

L’autrice impiega quasi sempre nomi di sua creazione, ma il racconto si regge su carte e documenti familiari e ricerche d’archivio. E racconta anche dell’amore tra i due protagonisti osteggiata dalla famiglia di lei che non voleva che la figlia si impegnasse con un uomo condannato dai fascisti.
Bianca Tarozzi, poetessa apprezzata da un critico esigente come Alfonso Berardinelli, ha pubblicato anche libri di critica letteraria per l’infanzia, è traduttrice (ultima fatica, i diari di Virginia Woolf dal 1925 al 1930), è nata a Bologna nel 1941 e vive a Venezia. Su gentile concessione dell’autrice, pubblichiamo un estratto dal settimo capitolo in cui narra della commemorazione di Lenin sul Comunista e della diffusione di quel giornale che portò all’arresto di suo padre e della ragazza incaricata di affiancarlo, Aida (ovvero Zaira Cianchi).

Bianca Tarozzi: Lenin, Marx e “Celeste Aida”

In Italia nel 1926 il secondo anniversario della morte di Lenin fu ricordato illegalmente da un foglio clandestino, “Il Comunista”, che citava alcuni slogan essenziali. A sinistra della testata era scritto “Tutto il potere ai Soviet operai e contadini” , frase leninista se mai ve ne fu una, a cui corrispondeva, a destra, l’altra di Marx: “Proletari di tutto il mondo, unitevi”. Ma tra le citazioni leniniste del foglio vi era anche: “La sola garanzia di libertà è il fucile sulla spalla dell’operaio”. Queste frasi del “Comunista”, insieme a un’altra che faceva riferimento al “boia Mussolini” sarebbero bastate a far condannare chiunque ne fosse stato in possesso. Il foglio naturalmente non recava l’indicazione della tipografia, come era invece prescritto per legge.

Il giornale clandestino, stampato segretamente a Roma, veniva di lì ritirato dai compagni comunisti e distribuito poi in tutto il paese. L’operazione era complicata e occorrevano parecchie precauzioni. Eddo doveva occuparsi della distribuzione in Emilia e in Toscana. La cosa non gli dispiaceva: trascorreva comunque in treno gran parte del suo tempo e aveva un abbonamento ferroviario che gli permetteva di tenere facilmente i contatti tra il direttivo milanese e i vari raggruppamenti locali delle regioni di sua competenza. Sapeva come comportarsi in treno: sapeva se era il caso di tacere con un libro davanti agli occhi, o di parlare, possibilmente di nulla, con qualche amabile signora o compagno di viaggio. In quei casi si presentava come commesso viaggiatore, rappresentante del settore librario. Era un mestiere che aveva esercitato saltuariamente, e sapeva cosa dire a proposito di libri, sebbene anche lì occorresse molta prudenza. Ma questa volta doveva andare fino a Roma, per ritirare il giornale, e il direttivo aveva consigliato di andare in coppia con qualche compagna, in modo da fingere un viaggio sentimentale e non destare sospetti.

La ragazza scelta per quella avventurosa finzione si chiamava Aida Zanchi; era una giovane fiorentina di Soccorso Rosso, di bella presenza, di parlantina sciolta, abituata alle operazioni rischiose: non doveva render conto a nessuno perché viveva da sola con il fratello, che era un compagno fidato. Eddo la conosceva da tempo e alla stazione di Firenze, dove si incontrarono, la salutò scherzosamente: “Celeste Aida!”

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