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Italia–Israele, una partita che pesa più dei tre punti

Il mondo dello sport può restare neutrale davanti a guerre e genocidi? La Figc non tentenna e farà disputare l'incontro. Intanto ha appena deciso il trasferimento a Perth in Australia, in barba a tifosi e abbonati, di Milan-Como del prossimo febbraio.

Italia–Israele, una partita che pesa più dei tre punti
I tifosi italiani di spalle all'inno israeliano nella gara di andata in Ungheria
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Marcello Cecconi Modifica articolo

7 Ottobre 2025 - 15.29


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Martedì sera, allo stadio “Friuli–Dacia Arena” di Udine, si dovrebbe giocare Italia–Israele, gara valida per la qualificazione ai prossimi Campionati Mondiali di Calcio. Ma quella che in altre circostanze sarebbe stata soltanto una sfida sportiva, oggi è diventata un caso morale e politico. Udine, città simbolo di incontro e frontiera, accoglie una partita che attraversa una tragedia ancora aperta.

Le autorità hanno alzato al massimo l’allerta sicurezza, consapevoli che la tensione non è solo fisica ma anche simbolica. Per questo, pare che il governo Meloni abbia autorizzato la presenza sugli spalti della Dacia Arena, oltre ai tifosi israeliani, degli agenti del Mossad, il famigerato servizio d’intelligence estero di Tel Aviv. Intanto, durante le manifestazioni della settimana scorsa in appoggio alla Sumud Flotilla, un corteo di Firenze che doveva arrestarsi a Campo di Marte ha raggiunto Coverciano, la casa della Nazionale, con i partecipanti che hanno espresso il loro dissenso rispetto alla partita: Ma come è possibile continuare a far giocare a Israele, che è uno stato criminale, questa partita di calcio, dopo due anni di genocidio?”.

Tra i movimenti, gli intellettuali, i media e i tantissimi cittadini che contestano la partita, c’è chi parla apertamente di una resa della coscienza. “La scelta di giocare è una resa ai massacri, ai crimini, all’ipocrisia”, dicono. E la domanda più ricorrente è sempre la stessa: perché con la Russia sì e con Israele no? Dopo l’invasione dell’Ucraina, Mosca è stata esclusa da ogni competizione internazionale, mentre l’Israele di Benjamin Netanyahu, continua a essere ammesso nei tornei ufficiali nonostante il genocidio continui anche in questi giorni di preparazione del vertice egiziano che tenterà di iniziare un tortuoso percorso di pace.

Chi protesta chiede coerenza, non semplificazioni, richiamando anche la violazione di una norma internazionale (artt. 72 e 74 dello statuto Fifa) norma che tutela le nazionali di calcio di un paese aggredito militarmente e che impedisce lo svolgimento di partite che potrebbero “incitare all’odio o alla violenza”. E sottolinea che, se la comunità sportiva ha scelto di usare lo sport come leva di pressione morale in un caso, non può invocare la neutralità in un altro.

Poi c’è quella parte del mondo del calcio italiano che difende la linea: non interrompere il dialogo sportivo, separando il campo dalla politica e affidando ad altri livelli il giudizio sul conflitto e, comunque giustificando la differenza fra Ucraina e Israele dall’attacco dei palestinesi del 7 ottobre di due anni fa.  E la Figc? Ha già difficoltà a gestire le questioni di calcio, vedi l’appena deciso trasferimento a Perth in Australia, in barba a tifosi e abbonati, della gara di Serie A Milan-Como del prossimo febbraio.

E se spedire a 13.700 chilometri una gara del campionato italiano è sembrata la miglior soluzione per sopperire alla mancanza di San Siro, dedicato in quei giorni all’apertura delle Olimpiadi Invernali 2026, figuriamoci come potra gestire il caso di Italia-Israele. Intorno a questa partita girano interessi di ogni tipo, compresi il “valore economico e d’immagine” degli sperati tre punti che terrebbero ancora socchiuso il cancello della partecipazione alla fase finale, sbarrato nelle ultime due edizioni.

Solo se nel corso della settimana prenderà quota il vertice egiziano la tensione intorno all’evento potrebbe affievolirsi. Oggi, come ha dichiarato in un punto stampa il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, i negoziatori stanno lavorando per “facilitare le condizioni” per il rilascio degli ostaggi nelle mani di Hamas e dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane come pure per lingresso degli aiuti umanitari nella Striscia. Una fiammella c’è, per ora fioca.

Comunque sia, quella di martedì non sarà solo una partita da giocare, ma rafforzerà la domanda aperta sul ruolo etico dello sport nel mondo di oggi: può davvero restare neutrale davanti a guerre e genocidi?

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