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Michele Riondino: "Montalbano è suo e sarà sempre e solo lui"

L'attore e regista tarantino ci racconta il rapporto con Andrea Camilleri e non solo.

Michele Riondino: "Montalbano è suo e sarà sempre e solo lui"
Michele Riondino e Andrea Camilleri
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20 Dicembre 2023 - 15.10


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di Maria Teresa Volpe

Questa è una delle esercitazioni svolte dalle studentesse e dagli studenti che stanno frequentando il laboratorio di giornalismo, tenuto dal Professore Maurizio Boldrini. Sono da considerarsi, per l’appunto, come esercitazioni e non come veri articoli.

Incontro Michele Riondino a Roma, proprio in quell’Accademia nazionale d’arte drammatica dove ha iniziato la sua carriera. È attore di successo e regista rivelazione del momento. Ma cominciamo dall’inizio.

Quando e come è nata la tua passione per la recitazione? Ti sei mai pentito di seguire il tuo sogno?

Grazie per aver arrangiato l’intervista in questa città che oramai chiamo casa. Dunque io vengo dal sud, dalla Puglia. Ho sempre avuto voglia di recitare, ma non sapevo come fare. Avevo 17 anni quando ho scoperto, su indicazione di mio padre, che a Taranto esisteva una compagnia teatrale che organizzava dei laboratori. Lì mi è scoppiata la passione. Avevo capito che era quello che volevo fare per tutta la mia vita. È stata una sfida e non avevo nessuna conoscenza in fatto di teatro o recitazione, ma sapevo che per crescere e formarmi dovevo partire, dovevo andarmene. Sono sempre stato attaccato alla mia terra e alle mie radici e ti dirò non è stato semplice. Se non avessi lasciato Taranto, avrei fatto l’operaio come mio padre e i miei zii. È una vittoria importante. Mi sono preparato con un coach, tra l’altro padre di un mio carissimo amico e ho studiato vari testi per aiutarmi a capire quelli più adatti per crearmi una personalità artistica che poi ho sviluppato, con gli anni, in accademia”. “E no, non mi sono mai pentito”.

Raccontaci degli anni e dell’esperienza in accademia. Quale è stato l’insegnamento più importante che hai ricavato?

Sono più consapevole del mio corpo. Quando leggo un copione ho imparato ad immergermi completamente nel personaggio e nella storia, scordandomi per un po’ chi sono io veramente.

Abbiamo fatto tanta tecnica, passavamo mesi a leggere dei testi perché dietro a ogni parola c’è uno studio minuzioso. Ho sempre preferito l’azione alla teoria. Sono andato avanti con il mio percorso perché volevo terminarlo, mi hanno insegnato cos’è la voce e come usarla e una cosa che non pensavo mi piacesse: la danza, un’arte per me incomprensibile che poi mi ha fatto innamorare. Inoltre, sempre durante gli anni dell’accademia ho avuto la fortuna di cominciare a lavorare in televisione e guadagnare qualcosa.

Quali sono stati i tuoi primi lavori?

Piccoli ruoli in fiction classiche e, per tanto tempo, sono stato conduttore di una trasmissione per bambini su Raisat.

Arriviamo al tuo lavoro più recente, il giovane Montalbano. Tu sei pugliese, il commissario Montalbano è siciliano, come hai fatto ad essere così preciso con l’accento?

Prima di cominciare le riprese del giovane Montalbano, parlando con Andrea Camilleri, ragionavamo sulla provenienza di Montalbano. Lui ha a che fare sia con Catania che con Palermo. Nasce a Catania e si trasferisce a Palermo, poi si trasferisce a Vigata che come sappiamo non esiste ma che è ambientata nel ragusano. Quindi per la lingua c’è stato bisogno di unire i tre vertici della Sicilia. Quello che ne è venuto fuori è un miscuglio dei dialetti parlati in questi vertici.

Ti ricorderai tutti gli incontri con Andrea Camilleri? Che possiamo dire che ha dato vita al commissario Montalbano.

Mi ricorderò tutti gli incontri che ho fatto con Andrea. Ogni incontro è un regalo che per un attore vale doppio, perché sentire le sue storie raccontate direttamente da lui è già un insegnamento, una lezione di teatro e di recitazione”. Anche oggi faccio fatica a dimenticarlo, avevamo un rapporto, possiamo definirlo, pirandelliano. Un rapporto che andava oltre l’intreccio di interessi economici e tutto proiettato all’intesa per la costruzione della mia interpretazione. Mi piace ricordarlo come un amico con cui potevi andare a teatro o al cinema, era sempre disponibile. Montalbano è suo e sarà sempre e solo lui. Il valore artistico di Andrea non morirà mai, dietro l’artista Camilleri c’era il cittadino Camilleri.

Come hai affrontato questa sfida?

Non è stato facile, la responsabilità era tanta ma anche la voglia di fare bene. La somiglianza con il vecchio Montalbano non c’è, sono un altro genere. Camilleri voleva così, voleva un Montalbano un po’ più spettinato, più rivoluzionario.

È uscita da poco una serie Netflix che ti ha visto coprotagonista, Fedeltà, ispirata all’omonimo romanzo di Marco Missiroli. A chi dobbiamo la nostra fedeltà, agli altri o a noi stessi?

Vi avviso, senza spoiler, che non esiste una sola risposta. Il mio personaggio si chiama Carlo, sposato con Margherita (Lucrezia Guidone). Il loro matrimonio visto da dentro sembra perfetto, ma ci sono dei segreti che meritano di restare tali. Tradimenti, veri o presunti, diventano ossessione. Non possiamo dire che le cose succedono e basta siamo noi a farle succedere, la differenza tra ciò che desideriamo e ciò che ci fa paura è sottilissima. In una coppia si fa un patto, ma c’è anche un sotto patto, ossia trovare la forza di avere dei segreti.

Che dire Michele, grazie per esserti aperto con noi e per averci raccontato la tua storia.

Grazie a voi. Alla prossima.

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