di Giada Zona
“Frob il mago apprendista: prendersi cura è un gioco” è il progetto realizzato da Paola Palmistesta, Oronzo Parlangeli, Stefano Guidi, Enrica Marchigiani, Margherita Bracci, Francesco Currò e Lorenzo Reina dell’Università di Siena per la Bright Night 2025. Un progetto di ricerca che vede la collaborazione dell’università di Siena con l’Università di Bergamo e con il Politecnico di Milano.
Il lavoro è stato illustrato da due organizzatori del progetto: Stefano Guidi, professore di fondamenti di psicologia, psicologia sociale e methodology of research in social and cognitive psychology presso l’Università di Siena, e Lorenzo Reina, assegnista di ricerca presso l’Unisi. Entrambi ci hanno illustrato i principali obiettivi del progetto di ricerca. Il professore Stefano Guidi ha spiegato: “Riabilitare e sviluppare abilità sociali, cognitive e di gioco attraverso i robot è uno dei principali obiettivi. Il gioco è importante poiché spesso i bambini con disabilità fisiche e cognitive sono esclusi da queste attività e infatti questa è una delle abilità che il progetto Frob sta cercando di sviluppare. Si tratta, infatti, di favorire l’inclusione di bambini con disabilità nel gioco e fare in modo che loro sviluppano attività di gioco con diversi livelli di complessità.”
“Frob è un progetto che mira a costruire una famiglia di robot, infatti vi sono due robot per la scuola dell’infanzia e primaria. Noi che studiamo user experience e altro ci siamo occupati della valutazione dell’usabilità dei robot” ha aggiunto Lorenzo Reina. In merito all’attività presentata per la Bright Night, Lorenzo Reina ci ha raccontato: “Oggi l’idea è quella di provare uno dei robot , “Frobone”, con uno scenario dove i bambini giocano con Frobone che diventa uno stregone con una porzione magica. Dunque i bambini devono fare in modo che il robot arrivi all’ingrediente finale grazie ad una sequenza, considerando anche che il robot parla”
“Inoltre ci saranno altre attività, ad esempio invitiamo i bambini a disegnare per comprendere eventuali stereotipi sui robot, come quelli di genere, già presenti nei bambini” ha così concluso il professore Stefano Guidi.