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"Steve Jobs", il ritratto dell'uomo che ha cambiato la modernità

E' una pellicola di Danny Boyle quanto mai reale che narra la figura del creatore di Apple come non è mai stata raccontata

"Steve Jobs", il ritratto dell'uomo che ha cambiato la modernità
"Steve Jobs", il ritratto dell'uomo che ha cambiato la modernità (foto: https://www.film89.co.uk/the-underappreciated-art-of-2015-biopic-steve-jobs/)
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3 Dicembre 2025 - 17.20


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Di Matteo Di Mario

Diretto da Danny Boyle e scritto da Aaron Sorkin, Steve Jobs (2015) non è una
classica biografia lineare ma un brillante ritratto di uno degli innovatori più discussi
della nostra epoca. Ispiratissimo, in pochi anni ha creato uno strumento come
l’iPhone, in grado di connetterci con il mondo.

Danny Boyle, regista di molte pellicole tra cui Trainspotting, film culto del 1996, e
The Millionaire, uscito nel 2008 e vincitore di ben 8 statuette ai Premi Oscar del
2009, si è preso carico di creare un prodotto in grado di restituire il ritratto più puro di
un uomo criptico, solitario e controverso, come solo un grande genio può essere.
Per farlo, non ripercorre la sua intera esistenza come si è soliti fare in un biopic ma
fissa tre punti focali attraverso cui far passare il racconto dell’uomo.

Nessun palco, nessun applauso, nessuna vittoria, tantomeno risate e
festeggiamenti: quello che viene raffigurato e interpretato magistralmente da Michael
Fassbender è un Jobs nevrotico, duro e incapace di restituire agli altri. Gli altri,
principalmente, sono l’assistente marketing Joanna Hoffman (Kate Winslet) e la pseudo-figlia Lisa (interpretata nei 3 atti rispettivamente da Makenzie Moss, Ripley
Sobo e Perla Haney-Jardine) avuta da Chrisann Brennan (la madre di Lisa,
interpretata da Katherine Waterson), oltre che il suo collaboratore e co-fondatore di
Apple, Steve Wozniak (Seth Rogen), trattato a più riprese come una persona
qualsiasi nonostante sia il vero creatore del suo impero.

La trama prende spunto da tre lanci epocali: ha inizio nel 1984 dove, alla vigilia del
lancio del Macintosh 128k, Jobs si destreggia tra la difficoltà di creare un prodotto
che rispetti le alte aspettative e la sua tragica vita personale. Si trova, infatti, in
contrapposizione con l’ex fidanzata Chrisann Brennan per la presunta paternità di
una bambina di nome Lisa. A ciò si aggiunge una mania di controllo derivante
dall’abbandono subito in tenera età dalla sua madre naturale. Siamo ben lontani
dall’idea di un uomo vincente e intoccabile come ha sempre amato mostrarsi sul
palco: Jobs si riscopre debole, solo e chiuso nei suoi pensieri, nonostante una
corazza esterna di sicurezza. Il progetto sarà un flop e perderà il posto nell’azienda
fondata da lui stesso, creando la Next.

Nel secondo atto siamo nel 1988: oltre agli ormai soliti problemi con la presunta
figlia, Jobs si scontra con Steve Wozniak che, nonostante l’abbia sostenuto, sembra
essere colpevole di averlo criticato. In realtà Wozniak pretendeva solo riconoscenza
per lui e per il suo staff che ha provveduto a creare il computer, cosa che Jobs
rifiuterà di fare.

Tutto porta al terzo atto: siamo nel 1998. Jobs decide, sotto la spinta dell’assistente
marketing Joanna, una delle poche persone che non ha paura di affrontare il
carattere scontroso del fondatore, di risolvere le controversie con sua figlia Lisa
ormai diciannovenne. Lo fa ammettendo di averle dedicato un modello di computer e
promettendole di metterle “la musica in tasca”, alludendo alla creazione di quello che
sarà l’iPod, un prodotto che nei primi anni 2000 ha rivoluzionato la concezione della
musica, portandola lentamente alla forma che assume oggi.

Accanto a questo lato personale ed introspettivo c’è il solito rifiuto di Jobs di dar
credito al suo team, ponendosi come unico protagonista beneficiario della fama
derivante dai prodotti Apple. Il ritratto che ne esce è quello di una persona umana e
imperfetta come ogni essere vivente, non un tentativo di celebrazione, bensì la
volontà di restituire un ritratto quanto mai veritiero della sua persona.

Per tutta la durata del film non si può non essere attraversati dall’idea che la
tecnologia e i progetti siano solo una facciata: la vera paternità di Jobs non è la
creazione della Apple, bensì quella che non riesce ad accettare. Il rapporto
burrascoso con Lisa, che va dalla negazione iniziale all’ammissione delle proprie
colpe, è il vero filo conduttore dell’opera, così come rilevante è lo spaccato sulla sua
vita personale e sulla sua infanzia che trapela in alcune parti del film. L’incapacità
del creatore della Apple di gestire la sua vita privata e i rapporti interpersonali si
riversa in una spasmodica ricerca della perfezione nei prodotti che crea: una mania
del controllo che finisce per portarlo a scontrarsi, ripetutamente, con le persone che
lo circondano.

Oltre alla regia, a restituire l’ansia provata da Jobs collabora la sceneggiatura messa
in piedi dallo stesso Sorkin: un ritmo incalzante, crudo e rapido che non lascia spazio
a momenti vuoti e lenti. Ciò che mostra è una tensione che deriva dal montaggio serrato. Oltre a ciò, è degna di nota l’interpretazione magistrale di Fassbender che
supera le diversità fisiognomiche restituendo, di contro, un personaggio più fedele
che mai all’originale; interpretazione che gli è valsa la candidatura alla statuetta degli
Oscar del 2016.

Personalmente il film, visto adesso per la prima volta, mi è servito per mettere
accanto allo Steve Jobs ironico e geniale delle iconiche presentazioni dei prodotti,
quello fragile e inaspettato che lotta con i fantasmi del suo passato. Mi ha ricordato,
guardandolo, il film Ferrari di Michael Mann del 2023, dove più che parlare dei
successi del “Drake” Enzo Ferrari il regista si è concentrato sulle tragedie e le
difficoltà personali e pubbliche che “l’imprenditore” ha dovuto vivere nella prima fase
della sua carriera.

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