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Nell'atteso film Dracula diventa una favola d'amore

Il regista Luc Besson racconta il personaggio partendo dalle origini, ma lo rende attuale.

Nell'atteso film Dracula diventa una favola d'amore
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2 Novembre 2025 - 16.47


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di Luisa Marini

Diciamolo subito: questo Dracula spiazzerà molti fan di Luc Besson, che usciranno dalla sala perlomeno perplessi, e anche gli amanti dell’horror; ma, se non sarà forse il suo miglior film, merita un ragionamento per capirne l’approccio e il valore.

Anzitutto, la scelta degli attori principali e la loro direzione: dal bravissimo protagonista Caleb Landry Jones, già diretto nel precedente Dogman, all’intensa Zoë Bleu alla sua prima interpretazione (Elisabetta/Mina), dal prete ammazzavampiri Christoph Waltz alla nostra Matilde De Angelis, vampira sopra le righe.

L’adozione del doppio registro nei dialoghi, che introduce ironia alla tragicità delle situazioni, fa sospettare che il regista-sceneggiatore si sia voluto misurare con la storia del romanzo di Bram Stoker – saltandone i complicati passaggi e tenendo l’essenziale – in una sorta di meta-racconto, inserendo anche alcune variazioni significative per farlo arrivare al pubblico contemporaneo.

Il film, per come è sviluppato a livello di immagine, pare un evidente omaggio al Dracula di Coppola, che pure riprendeva la trama originale di Stoker. Besson, per sottolineare il tema universale che diventa centrale nella sua versione, aggiunge nel titolo originale A Love Tale, una storia d’amore (tradotto come al solito con parziale fedeltà in italiano L’amore perduto).

Il personaggio è il conte rumeno Vlad detto l’Impalatore, realmente esistito, che ama follemente la sua sposa e difende la sua terra dai Turchi invasori. Prima del vampiro, c’è il sangue simbolo di vita, pulsante nei vitali amplessi tra il principe sanguinario e l’amata principessa, e di morte, che sgorga copioso in battaglia. Lei durante l’attacco cerca di salvarsi, ma è uccisa proprio da lui, che lancia la spada verso il nemico: ecco la variazione fondamentale (al posto del suicidio da tragedia shakespeariana), che guida la storia.

Si crea un circolo senza apparente soluzione: Vlad per accidente è causa del ribaltamento dell’amore nel suo contrario; il suo senso di colpa, che rifiuta, lo attribuisce a Dio addirittura, che sente traditore della sua preghiera di proteggere l’amata; la condanna di Vlad per la sua tracotanza è non morire mai, in una insopportabile solitudine.

È questa che pesa a Dracula (e universalmente), una condanna all’assenza d’amore, dunque alla morte psicologica; Dracula la rifiuta e combatte per 400 anni – come Besson ha dichiarato, “è un film sulla speranza che sopravvive al buio” – per ritrovare la moglie reincarnata, attraverso due cose impalpabili: il profumo e la musica.

L’amore, ricercato come salvezza, fa uscire allo scoperto il vampiro come dandy romantico nella scintillante Parigi di fine Ottocento (unico appunto, il trucco e parrucco che ricorda troppo il Willy Wonka di Depp).

“L’uomo devoto, passionale, che si innamora di una donna e si innamora di quella donna per tutta la vita, ormai è un concetto praticamente alieno” ha detto la De Angelis in una recente intervista. “Sembra una cosa tipo surreale. Più surreale dell’essere vampiro, è surreale che ami una donna per tutta la vita. Quindi questo ci dovrebbe far riflettere su tante cose”.

Dracula è considerato come il “mostro”, il “diverso” in un mondo che non conosce la sua pena e categorizza tutto in buono o cattivo, in una società che ha paura e insieme ride dei mostri al luna park (quanta contemporaneità in questo), che non si confronta con la complessità e che, al di là dei personaggi maschili, solo la donna accoglie e tenta di comprendere, in quanto complessa e profonda lei stessa.

Il protagonista, in una sorta di autopunizione, accetta infine la morte (stavolta reale) per rompere “l’incantesimo” e lasciare vivere lei. Tutto il contrario della psicologia del femminicida, e anche un ribaltamento al maschile del ruolo classicamente attribuito al genere femminile. Per contro, Besson mette in scena donne moderne, consapevoli, libere, alla pari, che si coalizzano tra loro; all’inizio è Elisabetta la principessa sul cavallo bianco che cerca di salvarsi da sola, senza aspettare il suo principe.

I gargoyle – mostriciattoli animati servi di Dracula, un po’ disturbanti, paiono rivestire un ruolo simbolico nel film, dal momento che alla fine, quando il loro padrone muore, escono dal castello come bambini liberati che si aggirano stupiti, all’apparenza tutti uguali, perfetti, omologati, quasi che eliminare il mostro significhi anche eliminare la complessità: uno sguardo su una società futura senza memoria, disumanizzata, dove l’individualità è sacrificata all’ordine.

Mentre cerchiamo di capire, senza scomodare addirittura Jung, se si tratti di una critica alla normalizzazione, se con questa immagine l’autore ci voglia mettere in guardia da una libertà che in realtà è fittizia e rischia di essere perdita di individualità, oppure che i mostri in realtà siamo noi, innocenti almeno all’inizio. Il Dracula di Luc Besson resta una vecchia storia che continua a parlarci del valore dell’amore e della necessità di riconoscerlo, mentre ancora il suo falso simulacro miete troppe vittime, e anzitutto quello per noi stessi può salvarci. Mettendoci anche in guardia dalla solitudine di una società troppo tecnologizzata, ma ancora piena di contraddizioni.

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