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Quando i pittori denunciavano le condizioni di lavoro e degli emigranti italiani

A Carrara una cinquantina di opere tra ‘800 e inizio del ‘900. Con Pellizza da Volpedo, Fattori, Signorini, Balla

Quando i pittori denunciavano le condizioni di lavoro e degli emigranti italiani
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20 Giugno 2018 - 16.34


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Il lavoro, duro, faticoso, le persone sfruttate, rappresentato dai pittori tra l’unità d’Italia e la Grande Guerra. Con toni partecipati o, a volte, paternalisti. La mostra “Colori e forme del lavoro. Da Signorini e Fattori a Pellizza da Volpedo e Balla”, curata da Massimo Bertozzi ed Ettore Spalletti a Palazzo Cucchiari a Carrara fino al
21 ottobre, documenta una stagione in cui molti artisti prestarono una forte attenzione a chi lavorava e, in taluni casi, anche alle idee socialiste.

La rassegna, ideata e promossa dalla Fondazione Giorgio Conti, comprende una cinquantina di opere in mano pubblica o privato. Si va dai Macchiaioli toscani al
Verismo, dalle “suggestioni simboliste fino alle prime avvisaglie delle avanguardie: da Fattori a Morbelli, da Signorini a Pellizza da Volpedo, qui presente con alcune opere preparatorie del Quarto Stato”. Non manca un Giacomo Balla prima di diventare futurista e già artista di vaglia.  Così una volta il quadro è anche uno strumento di denuncia delle condizioni di lavoro nelle cave, nelle miniere, in officina, documenta anche le lotte, chi emigra (allora eravamo noi italiani ad emigrare), talvolta lo spunto è poetico

 

 

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