di Vannino Chiti *
*Presidente dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea – ex ministro del governo Prodi
L’ottantesimo Anniversario della Liberazione vede la pressoché totale scomparsa dei testimoni di una fase che dette all’Italia e all’Europa libertà, una democrazia più avanzata, diritti civili ed economico-sociali, pace. Si rafforza l’esigenza, resa necessaria anche dai cambiamenti nei modi di comunicare, di riflettere sui linguaggi, individuarne dei nuovi più in grado di coinvolgere le giovani generazioni, dai podcast, ai giornali on line, dal teatro, ai video, alla musica. La retorica non serve e accanto alle celebrazioni bisogna che la storia viva dove si è svolta, impedendo di apparire una fiction.
Da decenni, ad opera della destra, è in atto un revisionismo del fascismo: la violenza fascista si sarebbe sviluppata soprattutto a partire dalle leggi razziali del 1938. Poi ci sarebbe stato l’errore di seguire la Germania di Hitler nella Seconda guerra mondiale. In ogni caso gli italiani, “brava gente”, avrebbero portato anche nel conflitto il loro senso di umanità verso gli altri popoli.
È un falso! Il fascismo è stato violenza fin dal suo sorgere. Ha introdotto nella politica le squadre armate, colpito gli oppositori, imposto con la forza le dimissioni dei sindaci socialisti o popolari, assaltati sindacati, cooperative, case del popolo, soppressi, con le leggi fascistissime del 1925-1926, partiti, libertà di informazione e di pensiero. Il regime fascista di Mussolini è stato fautore del nazionalismo, ha aggredito altri popoli, condiviso e partecipato a scatenare la Seconda guerra mondiale. La repubblica nazifascista di Salò ha deportato e assassinato nei campi di sterminio ebrei, rom, sinti, comunisti, oppositori di ogni idea politica e ha compiuto crimini contro cittadini italiani inermi, per vendetta contro le azioni della guerriglia partigiana. In Toscana ci sono state 807 stragi, 4.413 persone assassinate; in Italia 5.626, con 23.662 uccisioni.
È vero che gli italiani non hanno uguagliato le atrocità delle truppe tedesche, ma altrettanto che nelle guerre coloniali, in Libia, Somalia, Etiopia abbiamo usato armi chimiche e di sterminio, e che in Grecia, Jugoslavia e nei Balcani siamo stati responsabili di crimini contro quelle popolazioni. È mancata una rigorosa ricostruzione dei nostri comportamenti, non a uso degli studiosi, ma per l’opinione pubblica.
Ricordiamo giustamente tra gli oppositori colpiti dal fascismo personalità note a livello nazionale e internazionale: don Giovanni Minzoni, Antonio Gramsci, Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Carlo e Nello Rosselli. In ogni luogo ci sono stati donne e uomini, non conosciuti altrove, vittime del regime, costretti all’esilio, condannati al confino, che era un carcere, non un luogo di villeggiatura, come ebbe a definirlo Silvio Berlusconi.
Sarebbe utile sviluppare ricerche, territorio per territorio, anche attraverso l’esame del Casellario Politico Centrale.
La Resistenza, dopo l’8 settembre del ‘43, fu la lotta della grande maggioranza del popolo contro fascismo, nazismo e guerra. Il suo carattere è stato plurale, non appartiene a un partito o a uno schieramento: vi parteciparono, nelle brigate partigiane e nei Comitati di Liberazione nazionale e locali, comunisti, socialisti, Giustizia e Libertà, democristiani, liberali, in qualche caso monarchici; vi furono operai e contadini, artigiani, intellettuali, borghesi, ex militari, credenti, anche preti e suore, e non credenti; vi si impegnarono donne e uomini. La Resistenza è stata guerra contro gli occupanti nazisti e guerra civile contro i fascisti italiani, al tempo stesso è stata azione non violenta di sostegno a ebrei, partigiani, renitenti alla leva della repubblica di Salò, soldati alleati. Occorre assumere la Resistenza nel suo insieme, non scegliere “à la carte” ciò che conviene!
Il ruolo delle donne è stato a lungo messo ai margini, per il maschilismo presente nella società di allora, più forte di quello che ancora oggi esiste e a volte insanguina la nostra convivenza, per un senso di protezione, anche paternalistico, nei loro confronti, per un sentimento, diffuso in tutti, di andare oltre l’esperienza di vita di quegli anni difficili. Oggi è importante ricostruire quel contributo, scavando nei meandri di una storia da ricercare nelle testimonianze, nella memoria dei luoghi, quasi mai affidata alle relazioni ufficiali dei comandanti delle brigate. Abbiamo iniziato a farlo sul piano regionale, pubblicando intanto in un libro, “Resistenze, femminile plurale. Storie di donne in Toscana”, che di recente ho consegnato anche al Presidente della Repubblica, 50 biografie di donne partigiane.
In Italia bisogna essere antifascisti, non a-fascisti come pretende l’estrema destra: la Resistenza è fondamento della Costituzione e i valori della Costituzione sono opposti all’ideologia fascista. E sono attuali: libertà e democrazia contro autoritarismo; patria contro nazionalismo; Europa contro sovranismi; uguaglianza di genere contro maschilismo; dignità di ogni persona contro razzismo; senso della comunità contro individualismo egoistico; non violenza e pace contro culto della forza e guerra.
La Retorica della Resistenza ci ha portato a trascurare che quella ribellione di popolo riscattava ma non cancellava anni di consenso al fascismo; il farne un mito senza vederne la complessità non ha aiutato a radicarla nelle generazioni che si succedevano. Non viene con questo meno il dovere di farne il patto fondante della cittadinanza democratica. La Liberazione è un discrimine che separa, ieri come oggi, chi si schiera per le dittature e chi lotta per la libertà. Ci sollecita a non essere indifferenti, mai. L’indifferenza è il pericolo tanto più quando il confine tra democrazia e democrature è ormai labile: non occorrono marce fasciste sulle capitali. Basta colpire indipendenza della magistratura, pluralismo e libertà di informazione, diritti umani fondamentali e “addormentare” la voglia di partecipazione dei cittadini. De nobis fabula narratur!