Per l’autonomia, il finanziamento e la dignità dell’università e della ricerca: docenti e studiosi avvertono sui pericoli dell’attuale riforma

L’evento, svoltosi ieri presso la sede di Economia dell’Università di Siena, ha discusso delle preoccupazioni condivise dalla comunità scientifica circa il futuro dell’università.

Per l’autonomia, il finanziamento e la dignità dell’università e della ricerca: docenti e studiosi avvertono sui pericoli dell’attuale riforma
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Agostino Forgione Modifica articolo

16 Dicembre 2025 - 23.36


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Prende il nome di “Appello per l’autonomia, il finanziamento e la dignità dell’università e della ricerca” il documento sottoscritto da 138 società scientifiche italiane che, come si legge, mettono in guardia dal rischio di un sistema universitario “sempre più centralizzato, meno libero, meno capace di produrre sapere critico e innovazione”. È proprio di questi rischi, posti in essere dall’attuale riforma del sistema universitario, che si è discusso ieri pomeriggio presso la sede di economia dell’Ateneo senese.  A introdurre e moderare l’incontro Filippo Belloc, Direttore del Dipartimento di Economia Politica e Statistica, e Alberto Baccini, ordinario di Economia Politica e redattore del blog Roars. I primi interventi sono stati affidati a Mario Pianta, della Società Italiana di Economia, Alessandro Bellavista, dell’Associazione Italiana di Diritto del Lavoro e della Sicurezza Sociale, Tommaso Montanari, Rettore dell’Università per Stranieri di Siena e Rocco De Nicola, del Gruppo 2003 per la ricerca scientifica. Intervenuti anche Marco De Nicolò, della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea, Valeria Poli, della Società Italiana di Biofisica e Biologia Molecolare, Marco Andreatta, dell’Unione Matematica Italiana, Maria Luisa Meneghetti, dell’Università degli Studi di Milano e Francesca Monti, della Società Italiana di Fisica

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La preoccupazione principale è una: quella che il sistema universitario stia subendo un’erosione della sua libertà e della sua autonomia di ricerca. Principi sacrosanti alla base della nostra democrazia, sanciti tra l’altro dall’articolo 33 della Costituzione il quale attribuisce all’università garanzie e libertà paragonabili a quelli della magistratura. E non pare una casualità che anche quest’ultima, di fatto, è oggetto di una riforma analoga.

Unanime emerge la denuncia di come l’ANVUR, l’agenzia che si occupa di produrre valutazioni circa la ricerca degli atenei sulla base delle quali questi ricevono più o meno fondi, stia prendendo una deriva deontologica che incita a un “feticismo bibliometrico”. Una ricerca dopata sulla base di metriche che la riduce a meri numeri e che, dunque, deve piegarsi alle direttive che le vengono imposte. Direttive che rischiano di essere quelle del governo, visto che la proposta di riforma di cui è oggetto esplicita unicamente in che modo saranno scelti due dei cinque membri del comitato di selezione dell’ANVUR. Sono questi che, conseguentemente, stilano l’elenco di candidati al consiglio direttivo entro cui il governo è chiamato a scegliere i membri. Non essendo chiaro come verranno scelti i rimanenti tre membri del comitato si delinea il rischio di potenziali ingerenze governative.

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Una riforma che assieme alle altre pecca di democraticità, non essendo mai stata discussa assieme alla comunità scientifica. Se esiste davvero un rischio che l’Europa per come la conosciamo oggi scompaia, questo passa di certo per l’istituzione di un sistema universitario più simile a Cina, Corea del Nord o alla più vicina Ungheria. L’erosione della democrazia passa infatti dall’erosione dell’Università: agli atenei dovrebbero essere destinati fondi stabili, senza che quest’ultimi vengano costretti a meccanismi che incentivano o rendono necessario raccogliere fondi esternamente, ad esempio collaborando con il settore privato.

Preoccupano anche le recenti parole del ministro della Difesa Crosetto, il quale auspica che ricerca e università siano più vicine all’industria e soprattutto alla difesa, e preoccupa pure che alla prossima conferenza della CRUI interverrà il capo della Polizia. Un corpo la cui presenza nelle università è finora stata subordinata a condizioni molto specifiche e che sembra sempre farsi più vicino agli Atenei. Gli scontri con gli studenti di cui la cronaca ci ha resi testimoni ne sono un esempio. Criticato anche il semestre filtro e la logica alla sua base, che “liceizza” i programmi universitari e mina l’autonomia didattica.

Alla luce di tutto ciò la domanda condivisa a più voci è quella su come sia possibile che la società civile non si pronunci in merito, sottolineando come tali questioni dovrebbero essere discusse maggiormente proprio perché toccano tutta la collettività. L’autonomia universitaria non è solo una questione meramente riconducibile alla didattica, ma un termometro fondamentale della salute della democrazia. È qui possibile leggere l’appello.

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