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La frusta musicale

L'appuntamento del mercoledì di Culture Globalist - 19 gennaio 2022

La frusta musicale
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19 Gennaio 2022 - 12.33


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di Lucia Mora
 
Avevo 15 anni quando ho visto i Linkin Park dal vivo per la prima, e purtroppo unica, volta. L’estate milanese era talmente torrida che non ero poi così convinta che sarei uscita viva da quell’Ippodromo. Il pomeriggio trascorso sotto al sole cocente con la sola compagnia del ronzio del ventilatore portatile – peraltro non mio, ma della tizia al mio fianco che ogni mezz’ora spacciava fazzoletti per asciugare il sudore – stava seriamente mettendo alla prova le mie funzioni vitali. Eppure, se ero lì, è perché a quei tempi avrei fatto di tutto per Chester Bennington.

Chester era unico. Era unica la sua capacità di imprimere nelle canzoni il male che lo perseguitava. Sapeva farlo con una tecnica incomparabile, in grado di unire perfettamente scream e growl (per intenderci: quelle tecniche di canto che, grazie al diaframma, riescono a “sporcare” la voce producendo un suono gutturale). Perderlo nel 2017 all’età di 41 anni è stato atroce per tutti, per la musica in primis.

Di recente mi è capitato di pensare a lui, quindi la rubrica di oggi non poteva che essere dedicata alla splendida carriera dei Linkin Park. Come al solito, vedremo un gran bel disco e un altro un po’ meno bello, ma che comunque si sa difendere.

Hybrid Theory (2000)
Che album, questo qui. Tempo fa lessi una definizione che trovo piuttosto azzeccata e che recita più o meno così: “Hybrid Theory” è il “Nevermind” dei Millennials, mutatis mutandis. Lungi da me e da questo articolo avanzare paragoni ingombranti; sarebbe del tutto inutile e insensato, dato che parliamo di due gruppi completamente diversi. Il fondo di verità sta nel fatto che entrambi i dischi hanno segnato due generazioni (e quelle successive), entrambi con il loro personalissimo modo di dare voce alla protesta e alla sofferenza. Impossibile non sentire la rabbia in “One Step Closer”, impossibile non sentire il dolore in quella meraviglia di “Crawling”. Rap, rock, nu metal. In “Hybrid Theory” c’è tutto, e ad alti livelli.
Piccola postilla. Metto a pari merito “Meteora”, l’album successivo arrivato nel 2003: è grazie alla traccia finale, “Numb”, se ho conosciuto i Linkin, perciò rimarrà sempre nel mio cuore.

A Thousand Suns (2010)
Non è che “A Thousand Suns” sia un brutto disco, anzi. Ha comunque qualche chicca sparsa qua e là (quanto è bella e potente la voce di Chester in The Messenger?). Però… Però. Non convince del tutto, non ha la stessa forza trainante dei primi due. È sempre stato molto divisivo: da un lato la critica, che ne ha elogiato il carattere sperimentale, e dall’altro i fan, che invece quell’intraprendenza non l’hanno avvertita e sono rimasti – quasi tutti – delusi, freddi. Di lì a due anni, tuttavia, si sarebbero ripresi alla grande con “Living Things” e con tracce immense come “Castle of Glass” o “Lost in the Echo”.

A Chester e alle sue parole, che non saranno mai “perse nell’eco”.

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