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"Strappare lungo i bordi": la miniserie di Zerocalcare sballa in Rete

Il primo prodotto animato trasmesso da Netflix subito tra i contenuti più visti. Un viaggio mentale tra paure, incertezze e forte ironia. Rebibbia, gli amici Secco e Sarah: un formato adatto al mondo narrativo di Michele Rech

"Strappare lungo i bordi": la miniserie di Zerocalcare sballa in Rete
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Vittoria Maggini Modifica articolo

26 Novembre 2021 - 12.48


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di Chiara Guzzarri

Non ha fatto in tempo a uscire su Netflix che la rete è andata in brodo di giuggiole: tweet, hashtag come #strapparelungoibordi e #TearAlongTheDottedLine, vignette e foto con citazioni su Instagram. ‘Strappare lungo i bordi’: la prima serie tv, uscita il 17 novembre, nata dalla mente e dalla matita del fumettista Zerocalcare, ha dunque fatto centro.

In pochi giorni, la serie,  è finita dritta-dritta in cima ai contenuti più visti, superando Squid Game e le nuove puntate di Narcos e  diventando il primo prodotto animato creato in Italia a finire tra le nuove tendenze del servizio streaming Netflix.

Ma come mai una miniserie, composta solo da sei episodi, della durata tra i 16 e i 21 minuti massimo, ha conquistato così tanti italiani, e non solo?

La sua ironia, i modi di dire, la parlata romana, le citazioni profonde e filosofiche applicate a situazioni di vita quotidiana, la ricchezza di dettagli nella serie e i personaggi storici che da sempre vivono il mondo del fumettista sono sicuramente gli assi nella manica della serie.  Non si tratta, però,  solo di questo.

Sara dice nella serie,‘le persone sono complesse: hanno lati che non conosci, hanno comportamenti mossi da ragioni intime e insondabili dall’esterno. Noi vediamo solo un pezzetto piccolissimo di quello che hanno dentro e fuori. E da soli non spostiamo quasi niente. Siamo fili d’erba, ti ricordi?’ Una sorta di epigrafe per l’intero lavoro di Zerocalcare in ‘Strappare lungo i bordi’.

La serie non ha la pretesa di assurgere a trattato filosofico o di rispondere a domande esistenziali. È ‘solo’ un flashback di episodi scollegati tra loro, che Zero ha durante un viaggio in treno con i suoi due amici storici e l’Armadillo, la sua estremamente critica coscienza (ed unico personaggio non doppiato direttamente dal fumettista). Dai primi anni di scuola, passando per il liceo, un amore mancato e le sfide dell’età adulta, fino a tornare al presente in un viaggio romanesco dove si mischiano ricordi e sentimenti in una sorta di diario comico di un logorroico, egocentrico e diciamocelo, anche un (bel) po’ ansioso Zero.

Un racconto denso, che mette al centro le aspettative, indotte o imposte dalla società, che si contrappongono ad una strada piena di deviazioni e curve. Un racconto che diventa presa di coscienza di come non sempre sia possibile strappare lungo i bordi, seguendo una ben definita linea di vita e come affrontare ciò che deriva da questa scelta possa far paura, facendo sentire le persone disorientate, perse e talvolta inadatte a questo mondo, fino alle conseguenze più tragiche.

“E allora noi andavamo lenti perché pensavamo che la vita funzionasse così, che bastava strappare lungo i bordi, piano piano, seguire la linea tratteggiata di ciò a cui eravamo destinati e tutto avrebbe preso la forma che doveva avere. Perché c’avevamo diciassette anni e tutto il tempo del mondo.”

Alla fine Zero capisce che la vita è fatta di imprevisti; che spesso sfugge dagli schemi che ci eravamo imposti, e per quanto sia difficile accettarlo, stare fermi nella paura non serve: “Ho pensato per un sacco di tempo che se non strappavo più un cazzo, se stavo fermo almeno non facevo altri danni. Solo che non funzionava così perché se tu tieni in mano lo stesso foglietto per dieci anni, pure se non lo strappi, il risultato è che dopo dieci anni in mano hai comunque una cartaccia da buttare, pure se hai giocato a fare la statuetta di cera.

E poi, non è sempre vero che l’erba (la vita) del vicino sia  sempre più verde, perchè: ‘semo pure stupidi. Perché se impuntamo a fa’ il confronto co’ le vite degli altri. Che a noi ce sembrano tutte perfettamente ritagliate, impalate, ordinate. E magari so’ così perfette solo perché noi le vediamo da lontano”.

Raccontando di sé stesso, con costante ironia e una buona dose di sarcasmo, Zerocalcare riesce a racchiudere nella sua semplice storia gli ingredienti che accomunano una generazione di italiani che cercano di destreggiarsi in una società dura in cui fanno da sfondo malinconia e speranza. Lo fa tornando sui temi a lui cari e già affrontati in passato: i dubbi esistenziali, le paure del fallimento, il caos, l’osservazione del mondo circostante nell’ironico tentativo di decifrare il mondo che decifrabile non è. E tutto questo ci lascia addosso delle cicatrici. Come in questo dialogo:

‘Bambino: “Alice, ma la cicatrice poi passa?
Alice: “La cicatrice non passa, è come una medaglia che nessuno ti può portare via (…)”
Bambino: “Ma perché non passa?”
Alice: “Perché è una cicatrice. Se andava via con l’acqua era un trasferello. È una cosa che fa paura, ma è anche una cosa bella, è la vita”’.

Dopo tutta questa malinconia, un’introspezione e una presa di coscienza sulla vita, “s’annamo a pijà er gelato?”

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