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Cinque anni fa moriva David Bowie, il divo dagli occhi di differente colore

L'irriverente e provocatorio re del rock "globale" che per primo fra gli artisti si fece quotare a Wall Street se ne andava il 10 gennaio 2016

Cinque anni fa moriva David Bowie, il divo dagli occhi di differente colore
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8 Gennaio 2021 - 17.26


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di Marcello Cecconi

Cinque anni fa ci lasciava “L’uomo delle stelle”, David Bowie. Ammalato di cancro se ne andava, il 10 gennaio 2016,  appena due giorni dopo l’uscita del suo ultimo disco del quale già tutti parlavano, Blackstar, stella nera. Nella sua morte c’è il segno del destino, disse poi l’amico e storico collaboratore Tony Visconti: “Ha sempre fatto quello che voleva. E voleva farlo a modo suo, e voleva farlo al meglio. La sua morte non è stata diversa dalla sua vita: un’opera d’arte”

Lazarus, il singolo quasi premonitore dal suo ultimo album Blackstar

Cinque decenni di carriera artistica con in testa la metamorfosi, un misto della poetica kafkiana e pirandelliana, con la continua ansia di essere sempre nuovo per anticipare i tempi attraverso un trasformismo da dandy sorprendente che pescava nelle contraddizioni del rock e della stessa società occidentale che ne era espressione. Eroe della stardom, abile nel curare il rapporto morboso tra idolo e fan attraverso quel falso mito della sincerità dell’artista rock che vuole dimostrare improbabile distinzione tra arte e commercio. Resta il fatto che è stato uno dei primissimi rocker “globali” a muoversi su piani di espressioni contigui ma diversi come il teatro, la danza, il music-hall, il mimo, il cinema, il fumetto, le arti visive. Veste e traveste il suo palcoscenico di scenografie spaziali decadenti e futuriste insieme, contaminandole con i piani espressivi scelti e sempre con atteggiamenti provocatori e ambiguità sessuale.

Lascia un’impronta indelebile nell’evoluzione di generi musicali come il glam-rock, punk, new wave, dark-gothic, neo-soul, dance. Bowie non solo protagonista assoluto della scena mondiale ma anche attento amministratore della sua fortuna economica. Dal 1997 quotato a Wall Street grazie all’emissione dei Bowie Bonds garantiti dalle royalties dei dischi venduti fino al 1993, circa un milione di copie all’anno. Ha collezionato premi fino al Grammy alla carriera nel 2007.

David Robert Jones, questo il suo vero nome, nasce l’8 gennaio del 1947 nel quartiere multietnico di Brixton a sud di Londra da padre impiegato e madre occupata in un cinema e con un figlio da precedente matrimonio che soffre di schizofrenia. “Mio fratello Terry ha avuto una grandissima influenza sulla mia vita” confesserà David anni più tardi “mi ha fatto conoscere autori che certo non consigliavano a scuola, come Jack Kerouac, Allen Ginsberg, E .E. Cummings, e mi ha fatto avvicinare al jazz e al rock’n’roll americani“. Ancora bambino resta incantato dalla band di Little Richard e a dodici anni a si fa regalare un sax usato e si affida nientepopodimeno che a Ronnie Ross, uno che ha suonato tra le fila di band prestigiose come il Modern Jazz Quartet.

Nel 1959, a solo quindici anni, con in tasca un diploma in arte e design si trasferisce nella Londra dove la working class era divisa in due subculture giovanili che si scontravano spesso e per questo a lungo demonizzate. I rockers e i mods, come immortalati nel film cult Quadrophenia di Franc Roddam. I primi giacche in pelle con borchie, capelli impomatati e poco curati a bordo di grandi motociclette contro i secondi curatissimi e ben vestiti a bordo di scooter come la Lambretta e la Vespa esageratamente accessoriati. Lui, ovviamente, non poteva essere che uno dei Mods e così mentre lavora come grafico mette a frutto le lezioni di sax spostandosi da una strana band ad un’altra ancora più strana. Un pugno di un amico gli crea danni irreversibili alla pupilla sinistra mettendo in risalto l’apparente diversità del colore degli occhi, uno azzurro e l’altro tendente al verde/marrone.

Il successo tarda ad arrivare anche se il giovane non demorde e continua a vedere nel palcoscenico la sua abitazione naturale. Il grande successo del film di Kubrick 2001, Odissea nello spazio del 1968 e lo sbarco sulla luna di Armstrong e compagni dell’anno successivo, furono il suo straordinario trampolino di lancio. La sua capacità di anticipare il futuro si realizzò nel rispolverare un singolo costruito già da qualche tempo Space Oddity e rilanciarlo l’11 luglio del 1969, nove giorni prima dell’allunaggio dell’Apollo 11.

Il primo successo importante, Space Oddity, versione originale del 1969

La Bbc ne fece sigla delle trasmissioni televisive dell’evento e il successo fu garantito. Da allora si sommano successi planetari, da Hunky Dory (Rca, 1971) e The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars (Rca, 1972) per passare a Station to station (Rca, 1976) e Heroes (Rca, 1977) agli ultimi The Next Day (Columbia, 2013) e appunto l’ultimo, Blackstar (Rca, 2016). Una parabola artistica e musicale che non ha precedenti e con difficoltà di plausibili successori.

Il suo secondo grande successo, Starman dall’album The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars del 1972

Ora, il prossimo 22 gennaio, è annunciata l’uscita di un singolo inedito e la ristampa di Station to station a distanza di quarantacinque anni dalla sua prima uscita.

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