Ugo Pecchioli: quando la Resistenza è un faro, non un tabernacolo | Culture
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Ugo Pecchioli: quando la Resistenza è un faro, non un tabernacolo

Il futuro dirigente del Partito comunista fu partigiano in Piemonte. La figlia Laura e Marco Sappino, che sta scrivendo una biografia, rievocano la sua lezione umana e politica

Ugo Pecchioli: quando la Resistenza è un faro, non un tabernacolo
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27 Marzo 2018 - 16.16


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«Ad Alpette, piccolissimo Comune sopra Cuorgnè (Torino), papà aveva fatto il partigiano e nel piccolo cimitero sono custodite le ceneri di suoi compagni della Resistenza. Papà ogni 25 aprile andava lì a festeggiare la Liberazione. Non credo ne abbia mai persa una». Questo ricordo della figlia Laura racchiude una parte essenziale di un uomo politico, Ugo Pecchioli. Nel paesino sulle Alpi riposano le ceneri del dirigente del Partito Comunista nato a Torino nel 1925, morto a Roma nel 1996 perché l’esperienza da partigiano in Piemonte, sui monti e in città, quando rischiò più volte la pelle, restò un riferimento decisivo. Come rammenta più sotto Marco Sappino, giornalista a lungo a l’Unità che sta scrivendo una biografia «dove la parte della Resistenza sarà fondamentale».

La figlia Laura: i suoi valori senza paternali

Il 25 aprile si avvicina e ricordare la Liberazione dal nazismo e dal fascismo, oltre che lotta politica per un paese più equo, non diventa scontato, quando tanti non vogliono minimamente ripensarci. Figlia di un torinese che, come molti torinesi, è capace di grande affetto e passione all’insegna della discrezione e della sobrietà, Laura Pecchioli non vuole sperticarsi in storie celebrative e retoriche. E ripensa: «Mio padre era un uomo di poche parole e raramente raccontava del suo passato di partigiano o della sua attività politica. Desiderava che tutte le nostre scelte di figli maturassero liberamente in piena consapevolezza e ci lasciava grande autonomia. È stato, anche in famiglia, autorevole e non autoritario e ci ha trasmesso a noi figli e poi ai suoi tre nipoti Giulia, Bianca e Simone, i suoi valori senza mai salire in cattedra, senza paternali o lezioni. Era il suo modo di vivere ed essere che ci dava lezioni : impegno, sobrietà, rispetto delle regole, ascolto, attenzione per gli altri». Una lezione appresa a fondo, intimamente. E Laura, con il fratello Vanni, è iscritta all’Anpi, l’Associazione nazionale dei partigiani, e nel 2015 hanno festeggiato il 70esimo dalla Liberazione ad Alpette, con i figli dei partigiani del paese. «Da bambini ci portava sempre in montagna, in Val d’Aosta e Piemonte – ricorda ancora – dove lui, ragazzo di diciotto anni, aveva fatto il partigiano. La montagna è stata per lui importantissima maestra di vita e di crescita. Le sue traversate tra l’Italia e la Svizzera durante la Resistenza, a soli 18 anni, con responsabilità di altre vite oltre alla sua , hanno inevitabilmente formato il suo carattere. Ha continuato ad andare in montagna, a fare scalate fino a quando l’età e il fisico glielo hanno permesso». E annota un suo pensiero che suona sorprendente eppure fondato: «Se le nuove classi dirigenti del Pd fossero andate un po’ in montagna forse non saremmo in questa situazione».

Sappino: l’amico partigiano impiccato due volte

Appassionato alpinista, «Pecchioli è rimasto sempre molto legato a quei mesi in montagna e al ricordo dei compagni, di cui molti morirono, anche perché ha mantenuto nella sua azione politica successiva un filo rosso molto forte nei confronti della Resistenza», riflette Sappino, a lungo capo della redazione politica de l’Unità.
Il 25 luglio 1943 Pecchioli venne arrestato perché aveva manifestato alla caduta del fascismo. Dopo l’8 settembre riuscì a scappare. «Espatriò in Svizzera perché richiamato alla leva dalla Repubblica di Salò e non intendeva indossare la camicia repubblichina. Si legò a una cellula del Partito comunista e più volte portò giovani quadri politici in Val d’Aosta, in una zona della Resistenza. Tra loro portò anche Giulio Einaudi, figlio del futuro presidente della Repubblica e fondatore della Einaudi. Era rischioso guidare drappelli di persone evitando le guardie di controllo svizzere, le pattuglie fasciste e tedesche». Nella zona di Cogne «fece parte della banda Verraz dal nome di un compagno partigiano ucciso accanto a lui in uno scontro a fuoco, e Cogne diventò per quattro mesi una sorta di repubblica partigiana dove i partigiani instaurarono forme di democrazia». Nel 1945 partecipò «alla liberazione di Torino. Guidò alcuni combattimenti intorno a edifici chiave e nei giorni successivi in cerca i cecchini. Ha conservato tra le carte molto: volantini ciclostilati, l’Unità con le circolari della federazione torinese. Ha sempre tenuto nel suo studio la foto di Walter Fillak, uno di quei ragazzi che accompagnò dalla Svizzera all’Italia, comandante della 77eesima Garibaldi che ebbe una morte straziante: catturato, al primo tentativo di impiccagione la corda si spezzò per cui fu impiccato due volte».
Le tragedie, tra quelle montagne in quegli anni, non erano rare. «Dopo un combattimento un ventenne restò gravemente ferito. Per non lasciare tracce del sangue sul terreno – i tedeschi avevano i cani – si suicidò davanti ai compagni. Non si sa il luogo preciso. Quando Ugo Pecchioli salì in montagna aveva 18 anni. Nel 1945 ne aveva 20. Fu una generazione cresciuta in fretta. La guerra forgiò il carattere fermo restando che come ha ricordato l’amico e partigiano Franco Berlanda detto “il Grigia”, architetto oggi 96enne, Ugo era il più giovane ma, con naturalezza, il più autorevole, taciturno, affidabile, scrupoloso».

La Resistenza non è un tabernacolo

Politicamente «tra i dirigenti del Pci più autorevoli lui mantenne più vivo il rapporto con la Resistenza e lo si ritrovò nella lotta al terrorismo. Spesso fece un parallelo diretto tra gli ideali il valore della lotta partigiana e della partita in gioco contro il terrorismo rosso. A Botteghe Oscure creò un gruppo di lavoro che nelle città monitoravano, vigilavano, si documentavano sui materiali delle Br e la maggior parte erano tutti ex partigiani. Si fidava perché erano determinati, abituati alla riservatezza e alla accuratezza nell’analisi delle situazioni». E oggi? Il fascismo è tornato in auge? La memoria della dittatura e della guerra si è esaurita? «Il paese ha scarsa memoria – risponde Sappino – Purtroppo i venti anni della cultura del berlusconismo non sono passati invano. I rigurgiti sono pericolosi ma sono frutto della crisi generale, non credo abbiano una radice culturale quanto economica in un paese che memoria, non ha indagato grandi misteri della repubblica come le stragi». La Resistenza è per molti storia passata. «È ormai sullo sfondo, ma ci sono antidoti ed energie in direzione opposta all’oblio. Non sarei pessimista – appunta Sappino – Penso che Pecchioli avrebbe suggerito di andare al fondo delle questioni, alla soluzione del problema che crea disinteresse distacco. Ha sempre cercato di attingere dalla Resistenza come una stella polare, eppure non la considerava un tabernacolo da omaggiare quanto un patrimonio vivo che aveva risollevato il Paese. L’Italia fu liberata dagli anglo-americani ma ebbe la più forte sollevazione armata contro i nazisti e fascisti». Ricordarlo è bene.

Ugo Pecchioli: la scheda dell’Anpi

 

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