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Caso Moro: è giusto che gli ex brigatisti parlino tanto se non svelano i misteri?

Il 16 marzo 1978 con la strage della scorta iniziò il rapimento del politico Dc. I terroristi di allora intervengono spesso. Ma cosa dicono davvero?

Caso Moro: è giusto che gli ex brigatisti parlino tanto se non svelano i misteri?
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15 Marzo 2018 - 19.28


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Stefano Miliani

 

Il 16 marzo ricorre l’anniversario del rapimento di Aldo Moro e della strage della sua scorta. Era il 1978. I brigatisti rossi spedirono nella tomba a suon di raffiche cinque uomini. Due carabinieri e tre poliziotti assaliti e massacrati in via Fani, a Roma. Dopo 55 giorni il presidente della Dc fu trovato cadavere in una Renault rossa in via Caetani, simbolicamente vicina alle sedi della Dc in piazza del Gesù e del Pci in via delle Botteghe oscure. Adriana Faranda, oggi 67enne, che ha avuto una condanna a trent’anni per il rapimento e, in quanto parte della banda, per quei cinque morti, intervistata da Ezio Mauro su Repubblica ha ammesso le proprie responsabilità e che fu un tragico errore, che i britagisti erano contro la pena di morte negli Usa eppure accettarono “l’uso politico della violenza”. Ebbene: gli ex brigatisti stanno parlando molto in questi giorni. Parlano senza squarciare il velo sui tanti misteri. Non rivelano, su tutto, se lo Stato italiano voleva davvero liberare Moro. L’interrogativo resta tragicamente sospeso. Tanti non dubitano: lo Stato, o almeno una parte potente dell’apparato statale, non volle liberarlo. 
Come fu che il politico che stava per cesellare il suo operato per un governo occidentale in cui entrava il partito comunista venne tenuto prigioniero in una palazzina appartenuta ai servizi segreti? Nessuno sapeva niente? Difficile immaginare i servizi segreti popolati da idioti: c’era chi sinceramente cercava una via d’uscita per salvare Moro e chi no,  hanno suggerito più volte i familiari. Così sui social network più d’uno domanda: è giusto che gli ex Br chiacchierino tanto sui mass media se non svelano niente? È legittimo dar loro voce pubblica se non vuotano davvero tutto il sacco?

Venerdì 16 marzo alle 11 al Centro d’arti contemporanee di Roma Maxxi parla del sequestro Moro Luciano Violante, ex magistrato, politico italiano che era nel Partito Comunista, membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani. Uomo di gran lucidità, come informa il museo “farà un’introduzione storica” in un incontro con l’artista Francesco Arena che ha ricreato in scala 1:1 la cella in cui Moro fu costretto. L’interrogativo tornerà?

Lo stesso Maxxi venerdì 11 maggio alle 19.30 “ospiterà lo spettacolo teatrale Labirinto Moro con la regia di Luca Archibugi” su una vicenda che, scrive il museo, “a distanza di quarant’anni assume sempre di più un aspetto labirintico e non solo sul piano delle verità non rivelate”. Appunto: è storia recente dai troppi lati oscuri. Se gli ex brigatisti non svelano, gli storici, e tutti i cittadini, non hanno diritto a reclamare più silenzio? La domanda corre sul web e la rilanciamo. Con dubbi, certo. Senza nulla togliere al diritto-dovere di informare, che è sacro, crediamo la domanda sia non solo legittima: in assenza di vere risposte da parte di chi fu carceriere e/o omicida ci pare ineludibile.

 

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