“Processo per stupro”: il film sulla vittima che diventò imputato. Ieri come oggi

Il documentario uscì nel 1978 e conquistò un ruolo sociale in tutto il mondo, ma la società si è davvero evoluta? Preoccupano i numeri di violenze e femminicidi che continuano a crescere

“Processo per stupro”: il film sulla vittima che diventò imputato. Ieri come oggi
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15 Ottobre 2021 - 13.02


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di Vittoria Maggini

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La violenza sulle donne attraversa diverse fasi e si manifesta in forme diverse. Si tratta di un insieme di violenze emotive, fisiche e sessuali, che oltre ad essere reati, sono campanelli d’allarme che spesso non vengono denunciati, degenerando in atti più estremi.

In Italia, solo nel 2021, dei 199 delitti commessi da gennaio a metà settembre, 83 sono donne e oltre la metà sono state uccise dal partner o da un ex. Nello stesso periodo del 2020 si sono registrate 84 vittime e 116 in tutto l’anno. Nei giorni scorsi a Taranto una donna ha perso la vita per mano del compagno.

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A tutto questo si aggiunge il fatto che, in assenza di prove fisiche evidenti della violenza subita, la donna viene considerata imputata. Non innocente fino a prova contraria, ma colpevole. Ma di cosa? Di aver causato la violenza attraverso certi comportamenti, provocando, vestendosi in un certo modo. Disubbidendo, scherzando, sorridendo. In ogni processo per stupro, il tipo di difesa a cui ricorrono più di frequente gli avvocati dell’imputato è quella di accusare la donna di essersi inventata tutto per una serie di motivi variabili. 

 

Una grande testimonianza di questa mentalità maschilista è “Processo per stupro”, realizzato coralmente nel 1979 da Loredana Rotondo, Rony Daopulo, Paola De Martis, Annabella Miscuglio, Maria Grazia Belmonti, Anna Carini, primo documentario su un processo in Italia ad essere mandato in onda dalla Rai. Scopo principale dell’iniziativa era dimostrare che nel mondo, Italia compresa, quando aveva luogo un processo per stupro, la vittima si trasformava in imputata.

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Il documentario fu filmato presso il Tribunale di Latina, durante un processo in cui una ragazza di 18 anni, Fiorella, aveva denunciato di violenza sessuale quattro uomini sulla quarantina. Il processo fu reso difficile dal fatto che la vittima conosceva l’imputato principale e non presentava segni di percosse o maltrattamenti, prove che l’avvocato della difesa Giorgio Zeppieri aveva impugnato, pensando che sarebbero bastate: “Che cosa avete voluto? La parità dei diritti. Avete cominciato a scimmiottare l’uomo. Voi portavate la veste, perché avete voluto mettere i pantaloni. (…) Vi siete messe voi in questa situazione. E allora ognuno purtroppo raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente”. L’atteggiamento che emergeva era che una donna «di buoni costumi» non potesse essere violentata. Se c’era stata una violenza doveva evidentemente esser stata provocata da un atteggiamento della donna.

Poi arrivò l’arringa dell’avvocato Tina Lagostena Bassi, difensore della vittima, e le sue dichiarazioni spiazzarono la stessa giuria, “Credo che innanzitutto io debba spiegare una cosa: perché noi donne siamo presenti a questo processo. Per donne intendo prima di tutto Fiorella, poi le compagne presenti in aula, ed io, che sono qui prima di tutto come donna e poi come avvocato. Che significa questa nostra presenza? Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c’interessa la condanna. […] Vi assicuro, questo è l’ennesimo processo che io faccio, ed è come al solito la solita difesa che io sento: vi diranno gli imputati, svolgeranno quella difesa che a grandi linee già abbiamo capito. Io mi auguro di avere la forza di sentirli, non sempre ce l’ho, lo confesso, la forza di sentirli, e di non dovermi vergognare, come donna e come avvocato, per la toga che tutti insieme portiamo. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, «Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!» infangando la parte lesa soltanto. […] Ed allora io mi chiedo, perché se invece che quattro oggetti d’oro, l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna. Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza”, parole che fecero riflettere l’Italia intera, poiché troppo spesso nelle stesse aule di tribunale in cui la vittima di violenza cercava giustizia, riceveva un trattamento altrettanto violento.

 

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L’eco di “Processo per stupro” riecheggiò anche nel resto del mondo. La prima messa in onda fu seguita da circa tre milioni di telespettatori, la seconda da nove milioni. Successivamente vinse il Prix Italia, fu candidato agli Emmy Awards e presentato a svariati festival del cinema. Ancora oggi, il MOMA di New York ne conserva una copia negli archivi.

Le istituzioni italiane hanno reagito lentamente a questa forte necessità sociale di cambiamento. Solo nel 1996, dopo diciannove anni di discussioni parlamentari, sono state rinnovate le norme contro la violenza sessuale ed è stato affermato il principio per cui lo stupro è un crimine contro la persona che viene abusata nella sua libertà sessuale, e non contro la morale pubblica.

 

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Sono passati altri venticinque anni e non solo le quotidiane denunce di abusi esitano a diminuire, ma i racconti delle vittime vengono spesso e volentieri messi in dubbio.

Ancora le persone -purtroppo non solo uomini-, si sentono in diritto di giudicare le modalità e le tempistiche con le quali una persona decide di denunciare una violenza sessuale, e questo mi fa chiedere se la svolta del processo del 1978 non sia stata solo mediatica, anziché socio-culturale.

Una delle registe del documentario, Loredana Rotondo, intervistata pochi mesi fa in merito al caso Grillo da Il Riformista, ha detto: “La questione non fa che reiterare un atteggiamento maschilista rispetto alla violenza sessuale. Problema centrale nella nostra cultura. Gli argomenti degli avvocati di Processo per stupro non erano lontani dal video di Beppe Grillo. Il #MeToo è riuscito in qualche modo a incidere negli Stati Uniti, ma dopo tanti anni siamo ancora molto arretrati”.

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Accusare la donna di essersi inventata la violenza è una modalità che non si riesce ancora a limitare ai casi in cui siano concrete le possibilità. Su questo comportamento sociale bizzarro ha indagato la giornalista indiana Amia Srinivasan nel suo libro “The Right To Sex: Feminism in the Twenty-First Century”, in cui fa una considerazione: conosce molte donne che hanno subito violenze sessuali, ma solo due uomini vittime di false accuse nei loro confronti. Scrive: “Sono molte di più le donne vittime di violenza rispetto a quelle che accusano falsamente gli uomini. Inoltre, nessuna delle donne che conosco ha sporto denuncia penale o ha sporto denuncia alla polizia. […] Alcuni uomini sono falsamente accusati di stupro; non c’è nulla da guadagnare a negarlo. Ma le false accuse sono rare. Non sto dicendo che le false accuse di stupro siano qualcosa di poco importante. Non lo sono. Un uomo innocente accusato, la realtà dei fatti distorta, la sua reputazione e la sua vita potenzialmente rovinate sono uno scandalo morale. E, notate, è uno scandalo morale che ha molto in comune con l’esperienza delle vittime di stupro, che in molti casi affrontano la cospirazione di non essere credute, soprattutto dalle autorità”.

 

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Se oggi apriamo i social o accendiamo la tv, da Beppe Grillo allo scivolone della Palombelli, ai frequenti commenti di victim blaming (spesso da parte di donne, mogli, madri) e paragoniamo tutto ciò alle parole “Avete voluto la parità dei diritti? Vi siete messe voi in questa situazione” di Processo per stupro, la differenza non è poi così tanta.

 

Eppure, da quel processo sono passati 43 anni. Le leggi sono cambiate, le donne stesse sono cambiate, hanno maggiore consapevolezza, autorità e indipendenza. Eppure, ieri sera, tornando a casa da sola e al buio, ho avuto ancora troppa paura a portare la gonna corta.

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