"Non c’è bisogno che io l’assaggi, lo vedo se c’è troppo sale": così diceva Gualtiero Marchesi

L'eredità culturale del maestro raccolta nei “I Quaderni” della Fondazione a lui dedicata. Sara Vitali, editrice, racconta in questa conversazione il suo modo di concepire l'arte della cucina

"Non c’è bisogno che io l’assaggi, lo vedo se c’è troppo sale": così diceva Gualtiero Marchesi
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12 Febbraio 2021 - 12.19


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di Linda Salvetti

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Sono già passati tre anni dalla sua scomparsa ma l’arte del “Signor Marchesi”- così lo chiamavano i suoi allievi – influenza ancor oggi la cucina italiana. Il suo lascito culturale è raccolto nei Quaderni della Fondazione Gualtiero Marchesi: uno zibaldone di testimonianze di cultura del cibo e non solo; appunti che legano temi sociali all’enogastronomia percorrendo un delicato filo culturale. Il primo dei Quaderni, già editato, s’intitola ‘Italia – Francia’ (Cinquesensi, 97 pp., €20,00): un “viaggio di formazione” che  porta Gualtiero Marchesi a scoprire la nouvelle cuisine, allora considerata rivoluzionaria, per conoscerne le regole, i segreti, e infine metterne in discussione i cardini. Una casa editrice lucchese, Cinquesensi, sta pubblicando questo prezioso materiale. Ora sta per uscire un secondo Quaderno, Gualtiero Marchesi Contro’. L’editrice dei Quaderni, Sara Vitali, mi svela alcuni degli aspetti inediti del grande cuoco con il quale ha collaborato per oltre trent’anni. Le sue parole ne dettagliano un profilo inedito e sconosciuto mentre, camminando sulle mura di Lucca, trasforma la richiesta di un’intervista in una gradevole conversazione.

D’altra parte questo modo di fare è abituale in Sara Vitali, una delle  figure più poliedriche del mondo dell’editoria: ha fondato nel 2010 la sua Cinquesensi – nata dall’incontro con Leonardo Castellucci, autore e giornalista –  che ama definire “una casa artigianale di libri illustrati e raffinati, che si esprimono prevalentemente nell’ambito artistico-culturale e nella civiltà del cibo”. E lo dimostra il fatto che sia  l’unico editore italiano ad aver vinto due primi premi ed un secondo posto del World, Book e Cook 2020

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Partendo da Milano per approdare sull’altro ramo “del lago di Como, che volge a mezzogiorno”, cioè dalla Terrazza del Grand Hotel Tremezzo, Gualtiero Marchesi ha emancipato la cucina italiana dando corpo alla nostra odierna gastronomia, portando la cultura del e nel piatto. Di questo parlerà il secondo Quaderno: di come si sia battuto contro l’uniformità dello stile, contro le stelle, i punteggi delle guide gastronomiche, contro quell’esasperata ricerca innovativa di spettacolarità nell’esecuzione di un piatto, contro la “pornografia” degli chef in tv.  Un “Marchesi contro e in contraddizione creativa, spesso anche con se stesso”. Lascia andare i suoi pensieri a voce alta, l’editrice e parla con confidenzialità degli insegnamenti suo maestro:  “È importante che il cuoco ritorni libero da ogni imposizione, ogni moda, e si concentri sulla propria filosofia, sulla propria arte, all’insegna della qualità degli ingredienti e della buona cucina”.

“La missione dei Quaderni è del tutto culturale, – racconta l’editrice – “Gualtiero è l’unico cuoco di cui è possibile, ancora oggi, sperimentare e vivere l’esperienza di un menù completo così come lui lo aveva immaginato, con una riproduzione dei piatti esattamente come lui li aveva concepiti e li voleva. L’idea è quella di proseguire la sua cucina, senza reinterpretazioni. Nel suo ristorante, chi consuma ‘riso oro’, piatto iconico e simbolico di Gualtiero, insieme al ‘raviolo aperto’, riceve un certificato di autenticità”.

Nella cultura alimentare odierna è entrato in scena un ingrediente segreto: la “riproducibilità del piatto”. Sara Vitali mi spiega bene di cosa si tratta, avvertendo che la legislazione italiana non riconosce (ancora) il suo copyright. Perché è considerato un bene che si estingue nel momento in cui si consuma. Qualcuno si domanda perché credere a una visione così olistica e centrifuga, quando “la cucina” – dice Sara, ricordando le parole del Maestro Gualtiero Marchesi, che per primo ha creduto nel segno individuale dell’artista e ha mutuato il linguaggio della musica, applicandolo alla cucina stessa – “è forza di recepire, rielaborare e consegnare in modo originale. La cosa interessante del processo artistico non è soltanto avere una buona intuizione ma metterla in un campo di relazione, di dialogo. Il piatto ha una sua propria identità ed espressione. È il risultato di un processo artistico di rigore, lo chef come il musicista, su basi tecniche molto sofisticate, si permette di inventare e di rompere le regole, ma sempre all’interno di un concetto di armonia: sinestesia e complicità tra i diversi sensi”. Decisamente l’editrice ha imparato l’arte di cucinare e di conversare da quel maestro che è stato Gualtiero Marchesi. 

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