Chiara Ingrao narra le operaie. Landini: «Senza quelle lotte non avremmo molti diritti»

Il segretario della Cgil firma la postfazione a “Dita di dama”: il romanzo su un gruppo di lavoratrici nell’autunno caldo del 1969

Chiara Ingrao narra le operaie. Landini: «Senza quelle lotte non avremmo molti diritti»
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28 Novembre 2019 - 19.20


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Il 28 novembre 1969, ricorda a voce Chiara Ingrao, si svolse la prima manifestazione romana dei metalmeccanici. Il cosiddetto “autunno caldo” entrava nel vivo e nella città del potere massimo. A 50 anni di distanza la scrittrice, nonché interprete, sindacalista, parlamentare, programmista radio e consulente sui diritti, ripubblica Dita di dama (La nave di Teseo, pp. 320, euro 12,00), romanzo ambientato in quel 1969 dove il ruolo è affidato alle donne operaie: la diciottenne Maria una gran intelligenza che diventa operaia e dovrà frenare gli studi per ragioni prettamente di classe e condizione economica, cui si affiancano ’Aroscetta, Ninanana, Paolona, Mammassunta, immerse nell’ambiente della periferia romana.

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Con i personaggi e una scansione della vicenda dove ogni capitolo è un verso della Divina commedia di Dante Chiara Ingrao intreccia la storia di quei giorni: il contratto dei metalmeccanici, la bomba di piazza Fontana, le discussioni sul divorzio, intessuto in una trama dove c’è spazio per l’amore, per i contrasti in famiglia, l’amicizia e il divertimento tra operaie.

La postfazione è di Maurizio Landini. Il segretario della Cgil, andando a quella presa di coscienza di lavoratrici e lavoratori, confronta le pagine del romanzo con quel 1969 dove l’autunno caldo rappresenta «un salto di qualità nelle lotte operaie», il confronto porta inevitabilmente all’oggi così che Landini su dita di dama scrive: «Si ricostruisce quel legame fra “io” e “noi” oggi profondamente inquinato della narrazione malata del “noi contro loro” che semina odio verso i più deboli e impotenza contro le vere ingiustizie».

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Senza quel «protagonismo operaio», riflette con fondatezza nella postfazione Landini, non avremmo avuto la nascita del servizio sanitario nazionale, quella cultura che ha permesso di abolire i manicomi con la legge 180, non avremmo acquisito diritti come il divorzio, l’aborto, «la parità uomo-donna, il nuovo diritto di famiglia, gli asili nido e la scuola a tempo pieno».

Oggi giorno, appunta il sindacalista, è tutto più difficile. Per la crisi devastante del 2008, per le conseguenze politiche, per le diseguaglianze che crescono e la situazione ambientale peggiora a vista d’occhio. Pertanto è necessario agire d‘urgenza: occorre, scrive Landini, «un nuovo modello di sviluppo che ponga al centro la qualità delle produzioni, la rivalutazione dei beni comuni e pubblici, la conoscenza e la cultura, la qualità sociale. Significa porre la stessa industria al servizio di uno sviluppo equilibrato».

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