Laudadio: "Il nostro '68 fu politica e passione, oggi cʼè da aver paura"

Il presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia e direttore del BiFest nel romanzo-biografia "Fotogrammi" racconta battaglie, delusioni e passioni a Bari. Una stagione di gran vitalità fra sinistra estrema, Partito comunista e amori

Laudadio: "Il nostro '68 fu politica e passione, oggi cʼè da aver paura"
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4 Dicembre 2018 - 13.33


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«Nel ʼ68 cʼerano una gran passione politica, una straordinaria capacità organizzativa tra i giovani e, anche, un certo moralismo». Felice Laudadio racconta in forma di romanzo-biografia, con un tono appassionato e a tratti auto-ironico, quegli anni turbolenti e vivi, quella sinistra, in Fotogrammi. Prima e dopo il Sessantotto a Bari, con prefazione di Luciana Castellina e postfazione di Piero Di Siena (Laterza, pp. 126, € 10).
Esperto di cinema, giornalista, scrittore, è stato redattore de lʼUnità, ha diretto la Mostra del Cinema di Venezia nel 1997 e nel 1998, dal 2016 presiede il Centro sperimentale di cinematografia a Roma, a Bari conduce il festival Bif&st. Laudadio ha dato alle stampe una storia di giorni e notti pieni di entusiasmo in veste di romanzo di formazione collettiva, affidando alla voce di più personaggi, tra i quali spicca ics, le vicende in cui lui è incappato, tra speranze e delusioni e situazioni perfino involontariamente comiche. Nellʼera dellʼ «io, io, io» Laudadio ha evitato di ricorrere allʼ«io» nella scrittura e, a pensarci bene, oltre che per pudore la scelta corrisponde a unʼidea coerente, alla consapevolezza di chi sa che siamo tutti immersi nel flusso di una vita sociale.

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Con un titolo che rimanda alle sue esperienze sul cinema, in “Fotogrammi” si avverte la fortissima passione politica diffusa tra i giovani.
È così, cʼera, così come i giovani avevano una straordinaria capacità organizzativa politica. Non aveva unʼorganizzazione giovanile solo il Partito Comunista, lʼavevano la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, i cattolici, lì si formavano i leader. Il leader radicale Marco Pannella veniva da una di quelle formazioni giovanili. Perfino i liberali ne avevano una. I fascisti avevano il Fuan, la militanza politica di qualunque colore aveva una forte di rappresentanza. Avevamo iniziato a far politica nei licei, a 14-15 anni. Si verificavano forti scontri ideologici e a volte anche fisici. Tutto questo è stato alla base anche del movimento spontaneo del ʼ68.

Dopo tanto fermento cosa è successo? Fin quando è durato il ʼ68?
Almeno per la sinistra il ʼ68 è arrivato ai primi anni ʼ70 quando le formazioni terroristiche di sinistra hanno cominciato a essere attive con sequestri e assassinii e hanno messo una cappa: il movimento giovanile ha fatto i conti con la storia. Fu un episodio discriminante la morte dellʼeditore Giangiacomo Feltrinelli (per lʼesplosione di una bomba a un traliccio nel 1972 a Segrate, ndr), sia che si sia trattato di omicidio o che sia saltato allʼaria da solo. Allora cʼera il congresso del Pci, entrava in scena Enrico Berlinguer con una storia da dirigente giovanile e rappresentava il cambiamento. Per tanti giovani il Partito comunista era quasi la mamma.

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A leggere “Fotogrammi” sorprende la vivacità di Bari.
Sorprende chi non è pugliese. La Puglia ha sempre avuto una terribile tradizione storica di destra, legata ai fascisti. Fino al 1958-59 Bari aveva una amministrazione monarchico-fascista, la destra aveva personalità importanti come Giuseppe Tatarella, abilissimo agitatore ed un eccellente propagandista. Dallʼaltra parte da primi anni ʼ60 a Bari arrivò una personalità politica fortissima come Alfredo Reichlin, comunista, nemmeno quarantenne, che aveva diretto lʼUnità e divenne un riferimento per due generazioni di giovani e nel dibattito politico. Agivano quindi due leader forti, uno di destra e uno di sinistra. Poi lʼuniversità, allora aveva 80mila studenti da tutto il sud, divenne bacino di coltura di formazioni e idee.

Un notevole moralismo pervadeva anche lʼestrema sinistra. Lo inquadra nellʼepisodio del “processo” in auto dei “compagni” marxisti-leninisti al “compagno” per una sospettata relazione con una ragazza che non era la fidanzata ufficiale.

Quel processo avvenne davvero. Il moralismo veniva dal Pci anche se in modo contradditorio se pensiamo a Togliatti (lasciò la moglie per Nilde Jotti nel 1948, ndr). Il privato è politico, bisognava avere codici di comportamento molto rigorosi, la monogamia era fondante anche perché occorreva essere così impegnati sul sociale e nellʼattività politica che non si potevano avere problemi privati. Quel moralismo non aveva nulla di cattolico, rispondeva invece alla concezione rivoluzionaria del comunista e in estremisti come eravamo noi marxisti- leninisti questi elementi venivano esaltati.

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Incuriosisce lʼepisodio sulla Cina. Il Partito dei marxisti-leninisti italiani voleva inviarla nella Repubblica Popolare Cinese di Mao, unico corrispondente di una testata occidentale a Pechino, per «forgiarsi e fortificarsi». Lei non andò per amore. Ma lʼimpostazione fa pensare a un missionario.

Un missionario accompagnato dalla fidanzata, però. Per salvaguardare lʼequilibrio psicofisico del compagno.

Trapela un certo orgoglio, nel ricevere una proposta simile anche se da un partito minuscolo.
Sulla carta cʼera lʼorgoglio di fare quel lavoro però non a quelle condizioni, tre anni senza mai tornare. Non si teneva conto delle esigenze della coppia: uno dei due avrebbe dovuto rinunciare a vivere.

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In “Fotogrammi” parla di molti leader che da sinistra sono approdati al centro e soprattutto a destra, spesso passando dai socialisti per arrivare a Berlusconi.

Non venivano solo dalla sinistra extra parlamentare, alcuni anche dal Pci: penso ad Ferdinando Adornato che diresse un settimanale dei giovani comunisti, passò a lʼUnità, poi a Panorama e divenne ghost writer di Berlusconi. Abbiamo visto molte scelte personali in contraddizione con le origini. Non tutti sono rimasti dove siamo come David Grieco e me.

Il capitolo finale, “Incubo”, prefigura un golpe. La paura di un colpo di Stato circolava e si fece fortissima dopo il golpe cileno del 1973. Oggi esiste il pericolo di una svolta autoritaria?

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Non saprò mai come rispondere a una domanda così: tanti elementi concorrono a un disegno politico. Non vedo un disegno ma una forma di dilettantismo nei leader dei due partiti al governo che non capisci se sanno cosa accade. Bernardo Bertolucci mi confessò di avere una paura fottuta che saremmo tornati non a un fascismo ma una forma di quel tipo. Ho sentito lo scrittore Sandro Veronesi in tv da Lilli Gruber manifestare la stessa consapevolezza che potrebbe esserci una svolta dai caratteri autoritari.

Un confronto tra lʼoggi e le proteste del ʼ68?

Oggi non cʼè più niente, il social rappresenta lʼunico momento di aggregazione ma è una selva oscura, una prateria piena di cannibali e di vittime di cannibali. Tuttavia
non dispero, esiste una forma di volontariato giovanile molto forte con comitati cattolici o di sinistra. È unʼaltra cosa rispetto ad allora.

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Lʼattuale governo gode di un consenso molto forte.

Da ragazzo ho sempre sostenuto che da noi il razzismo non esisteva perché non cʼera il problema. Non appena è cominciato il processo di immigrazione il razzismo sotterraneo è emerso. Non dobbiamo dimenticare che questo paese ha dato un consenso massiccio al fascismo, a Torino 40mila operai Fiat acclamarono Mussolini dimostrando come il popolo italiano fosse dʼaccordo con il duce, al di là dellʼantifascismo militante di poche persone. La dittatura fascista andò in crisi quando perse la guerra, per i morti, la miseria, le famiglie distrutte: fino ad allora tutto andava bene, madama la marchesa. Se sono veri i sondaggi che danno Lega e 5 Stelle fino al 70% fa paura: solo Pci e Dc sommati insieme arrivavano a quel risultato ma non governavano insieme, erano opposti. La paura di una svolta autoritaria? Non sappiamo se può avvenire, ma è meglio avere paura e reagire a questo clima che, a sinistra, ci vede perdenti a causa dei colossali errori della sinistra.

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