Le baby gang? Spuntano dalla melassa mediatica senza motivazioni

Nei media prevale l’ansia di creare angoscia per fare audience. Quanto accade ha una lunga storia: ecco quali libri e film l’hanno raccontata

Le baby gang? Spuntano dalla melassa mediatica senza motivazioni
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22 Gennaio 2018 - 12.39


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Enzo Verrengia

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Le baby gang costituiscono l’ennesimo trend mediatico, che elude analisi in profondità e si ferma all’immediato, con le solite due tendenze contrapposte: il giustificazionismo e il giustizialismo. Nel mezzo, la sensibilità etica, la vena predicatoria di laici che sostituiscono all’imbonimento religioso la psicologia, ecc. Prevale, come sempre, l’ansia di creare angoscia collettiva che fa audience cancella i precedenti e ricrea in forma di novità inquietanti fenomeni invece consolidati e perfino banali, pur nella loro carica di crudeltà quotidiana.
A Milano, per esempio, la delinquenza minorile ha tradizioni tutt’altro che edificanti intrecciate con le lotte risorgimentali e la Scapigliatura. Con un dettaglio: i “monelli” dell’Ottocento non provenivano da famiglie normali e benestanti, per loro il crimine era un mezzo di sostentamento. Alla stregua dei loro coetanei inglesi, che nella Londra vittoriana infestavano i giorni e le notti di gentiluomini in carrozza dagli occhi ostinatamente chiusi sul degrado nascosto sotto le fondamenta dell’impero. Occorrerà attendere l’ardore retorico ma efficace di Charles Dickens per vederli alla ribalta. Oliver Twist è la saga delle baby-gang, e al termine di tanta intraprendenza delinquenziale attende la redenzione, del tutto esclusa nelle saghe attuali, sia della cronaca che della fiction. Perfino David Copperfield, rimasto orfano e piazzato dal patrigno Murdstone in una azienda imbottigliatrice, frequenta coetanei in odor di reato.

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Sempre nell’Inghilterra dell’Ottocento, Sherlock Holmes sfrutta a fin di bene le bande di ragazzini ribelli che infestano il centro della capitale. Ecco dunque gli Irregolari di Baker Street, temibili specialisti in operazioni di strada, con una abilità da commandos. Alcune celebri inchieste holmesiane sono risolte l’apporto determinante di quelli che oggi si definirebbero delinquenti minorili. E non lo erano, forse, anche i Capuleti e Montecchi di Shakespeare? Per quanto Romeo e Giulietta si ambienti a Verona, i protagonisti sono puri hooligans minorenni, che vengono alle mani e terrorizzano la città per mera ostentazione di superiorità.
È la logica del branco, ben più antica del ripescaggio giornalistico di questo termine dopo l’uscita del romanzo La baracca, di Andrea Carraro. Risale al mito della caccia selvaggia, in cui i piccoli delle tribù venivano abbandonati a un rituale venatorio spietato, da cui tornavano solo i migliori. William Golding vi attinse per Il signore delle mosche, nel quale un gruppo di bambini precipitati in aereo su un’isola deserta, si trasformano in selvaggi votati alla sopravvivenza. Nel 1984 totalitario immaginato da George Orwell, poi, sono i più piccoli a denunciare i genitori, non certo per rispetto dell’ordine, bensì per gratuita spietatezza.
Si tratta di un patrimonio folklorico particolarmente vivo nella cultura angloamericana, che ha finito per nobilitare e, di fatto, esaltare la delinquenza minorile con un nutrito repertorio narrativo. Nel quale rientrano i racconti di Washington Irving e due figure immortali della letteratura per ragazzi, quali Tom Sawyer e Huckleberry Finn. Modelli non troppo lontani, anche in epoca non globalizzata, per Lucignolo di Collodi e Franti di De Amicis. Di quest’ultimo, Umberto Eco ha tessuto un celebre elogio nel suo Diario minimo, identificando nello scolaro ribelle la personalità non conformista tanto necessaria all’Italia retrograda e arroccata dei primi anni ‘60.
Intenti sociologici non assenti nella narrativa americana. Si veda il romanzo di Sol Yurick I guerrieri della notte, da cui fu tratto un film di culto nel 1979, che presenta un gang di minorenni che nulla hanno da spartire con i teppisti cresciuti che si vedono sullo schermo. Uscito nel 1966, è un autentico poema dell’adolescenza selvaggia imposta dalle megalopoli d’oltreoceano. L’accanimento con cui i quindicenni del libro si combattono per le vie notturne di Manhattan anticipa di un trentennio la violenza già futuribile dei drive-by shooting, duelli a pistolettate dalle auto in corsa, descritte con sconfortante precisione cronachistica da Stefano Pistolini in Gli sprecati, reportage nel 1996, tutt’ora insuperato, sulle generazioni postmoderne. E non erano minorenni i comprimari di Mad Max – Oltre la cupola del tuono, in cui il personaggio che lanciò Mel Gibson si risveglia tra miriadi di ragazzini che hanno imparato a cavarsela nell’Australia del dopobomba? O i giovanissimi cannibali del film Barbarella?

Immagini di un futuro disperato che anticipano anche il presente o il passato prossimo dell’Europa orientale dopo la dissoluzione della cortina di ferro. In Romania e a Mosca, le baby gang non rapinano per il gusto dell’oggetto firmato, quanto per nutrirsi. Nel sottosuolo di Bucarest si è sviluppata una nuova forma di vita, dall’età media che non supera i quattordici o quindici anni. Il che non è peggio dei niños da rua brasiliani. Compagni di aggressività dei coetanei napoletani e palermitani impiegati dalla camorra e dalla mafia.
Tornando a Milano, infine, ancora una volta bisogna riscoprire Giorgio Scerbanenco. Fino a quendo sarà considerato “minore” questo autore irripetibile dalla forza profetica? Nei racconti e nei romanzi, i minorenni meneghini non sono mai tranquilli. Già abboffati di benessere, rapinano e ammazzano per the fun of it, puro spasso. In I ragazzi del massacro violentano una professoressa. Ed erano anni in cui la televisione propinava noiossimi sceneggiati e notiziari soporiferi. Ora forse accade il contrario, alla noia di una realtà banalizzata perfino nelle punte più atroci si contrappone l’artificiosità dell’inedito. Il dato più negativo delle baby-gang odierne è allora il fatto di scaturire da una melassa mediatica completamente priva di contenuti e motivazioni.

 

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