La religione perduta degli alberi: la saggezza nei monumenti verdi

Esploratore dei nostri amici con rami e radici nel mondo, Tiziano Fratus fornisce con un libro una mappa accurata degli alberi più antichi d'Italia. Con una spinta etica che è anche una critica al mondo attuale

La religione perduta degli alberi: la saggezza nei monumenti verdi
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7 Novembre 2017 - 17.46


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di Alessandro Agostinelli

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Chi sono i patriarchi? Fosco Maraini aveva almeno tre alberi a Pasquigliora, dove ha vissuto e scritto e dove è sepolto, in Garfagnana, che chiamava: Confucio, Platone e Budda. Diceva che erano i patriarchi della Terra in un corto circuito tra i tre maggiori pensatori delle varie civiltà umane e i tre alberi del bosco vicino alla sua casa sull’Appennino. Prosegue questa linea di pensiero Tiziano Fratus, autodefinitosi homo radix e da anni esploratore di alberi in varie parti del mondo, col suo nuovo libro I giganti silenziosi (Bompiani, 366 pp, 25 euro).
Questo libro sugli alberi-monumento delle città italiane è una mappa originalissima della nostra penisola, una mappa sugli alberi più antichi che abitano la nostra nazione. Nell’introduzione Fratus scrive: “Un albero viaggia nel tempo, si adatta, si corregge, si plasma, anello dopo anello, secolo dopo secolo. Nel mentre le generazioni degli umani si esauriscono e rinnovano, le case e i villaggi si popolano e si spopolano”. L’autore trova negli alberi la religione perduta, o comunque l’aspetto trascendentale dell’esistenza umana, perché a loro affida una sacralità piena e naturale che non ha niente delle narrazioni spirituali, perché gli alberi “sono portali che consentono di uscire dal tempo che continuamente scandiamo”.

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L’introduzione al libro è anche un viatico similfilosofico per addentrarsi dentro alla critica al mondo attuale, facendo venir fuori, in misura rimarchevole, la potenza estetica e morale delle piante e dei luoghi naturali: “È proprio nel disfacimento delle nostre più elementari sicurezze, che la natura, gli elementi naturali, proprio quelle essenze che non ragionano come ragionano i nostri cervelli, ci vengono in soccorso”. Fratus individua gil alberi come “eremiti silenti” di fronte ai quali molte persone vanno a confessarsi, come non accadrebbe neppure ai migliori amici. C’è nel suo impeto una sorta di tensione emotivo-riflessiva sulle cose della natura, come un epigono Lucrezio che salva, tra le macerie di un impero, ciò che di più autentico pare mostrarsi della nostra biologia animal-vegetale terrestre.
Poi inizia il viaggio di questo testo che crediamo resterà nel tempo come sforzo enciclopedico illuminista, come archiviazione dei più importanti alberi italiani. E inizia da Torino per passare a Milano, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Palermo e Cagliari a raccontare, per filo e per segno (addirittura con le misure degli alberi descritti), questi giganti nazionali che hanno visto almeno 300 anni di storia patria passare sotto le loro fronde. Inutile citare il leccio di un parco urbano, o il ficus di un giardino, o un altro albero di un orto botanico – la mappa si scioglie in varie schede sempre ricche di citazioni letterarie e di ricordi, sempre dense di informazioni botaniche e tassonomiche.
Infine, serve segnalare che ogni città ha la sua porzione di mappa dove è possibile geolocalizzare gli alberi e organizzarsi il proprio viaggio, al seguito del libro di Fratus.

 

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