Ecco come il maschilismo dei media racconta la vittoria delle sindache

"Ragazze", "super mamme", "acqua e sapone", "della porta accanto", "sindaco o sindaca?" La discriminazione di genere inizia da un vocabolario obsoleto.

Ecco come il maschilismo dei media racconta la vittoria delle sindache
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Claudia Sarritzu Modifica articolo

21 Giugno 2016 - 09.15


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Le parole sono importanti gridava disperato un Moretti di fine anni “80 in Palombella rossa.

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Così importanti che ancora oggi, nel 2016, continuiamo a litigare sull’uso al femminile di alcuni termini come sindaco-sindaca. I più tradizionalisti affermano che la regola lessicale non prevede il sostantivo al femminile, perché si rifiutano di capire che quando il termine è nato non era prevista proprio una donna sindacA. Per molti questa polemica è inutile e sterile, dopo tutto “sono solo parole” conta la sostanza. E invece è qui che l’italiano medio, e purtroppo anche l’italiana media che non lotta per le parole che le spettano, compiono un grande errore. Tramite la lingua di un Paese si capisce la mentalità e la cultura di quel determinato popolo. Il nostro è un popolo che continua a dare nomi maschili a incarichi che per fortuna oggi con tanta fatica raggiungono anche le donne. Questo perché per pigrizia concepire la parola “sindaca” è per troppi quasi un capriccio visto che sono in minoranza. Le nostre conquiste sociali vengono ancora considerate in italia “eccezioni”, rarità per cui è inopportuno stravolgere una regola maschilista e cambiare una o con una a.

Ma siccome il maschilismo si sradica solo estirpando la mentalità attraverso la cultura dell’uguaglianza dobbiamo partire necessariamente da questa se vogliamo avere un ruolo nella società. Chiamare Raggi e Appendino (neo sindachE di Roma e Torino) “sindaci” consolida la convinzione errata che la loro posizione è solo un inciampo in un Paese che generalmente sforza primi cittadini maschi.

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Ma non è l’unica oscenità che ieri abbiamo dovuto leggere sui quotidiani nazionali. Le sindachE sono state definite “Ragazze” e “Mamme”. Non si tratta di offese, è logico che essere ragazze e madri non è una cosa spiacevole, per molte di noi è uno stato apprezzabile, ma il loro incarico non ha nulla a che fare con la maternità e l’essere “ragazze”. Una cosa è definirle giovani, per sottolineare il ricambio generazionale in politica ma “ragazze” è un modo per screditarle, far passare il messaggio che sono inesperte, immature “ragazza delle commissioni, “ragazza alla pari”, “ragazze della porta accanto”. Ancora “ragazza acqua e sapone” per definire il loro trucco delicato. Avete mai letto (se non per screditare appunto) questo aggettivo affidato a un giovane sindaco? No! Perché Sala è Sala e invece queste due donne sono sempre accompagnate da carattersiste fisiche?

Sulla maternità ci risiamo, una qualifica aggiunta come pregio quando la maternità non è una laurea che se ci si impegna si raggiunge. La maternità è una scelta privata che la società non deve considerare come un punto in più, sia perché una donna sarà una sindacA capace anche se non ha figli (se no si continua a considerare una donna senza figli una donna a metà come nel secolo scorso), sia perché è discriminatorio nei confronti di chi i figli li desidera ma non ne può avere.

Non è finita qui. I giornali nazionali hanno pubblicato la lettere dell’ex marito della Raggi che nonostante si siano lasciati continua a fare il maschio Alfa che protegge “la sua dolce ex metà”. Ecco come si sviluppano i rapporti malsani fra uomo e donna, proprio facendo passare attraverso i media il messaggio che un uomo sia il principe azzurro che corre in soccorso del nostro “corpo e della nostra mente fragile”. Vorrei spiegare al signore in questione e ai giornalisti che hanno dato spazio a questa letterina delle elementari che Virginia Raggi non ha bisogno di essere difesa da nessuno, soprattutto da un ex compagno e che in quanto ex non fa più parte della vita della sindacA. Noi donne non siamo di nessuno, di un uomo di cui ci siamo liberate tanto meno. I Femminicidi non si sconfiggono solo con le leggi ma anche facendo cambiare atteggiamento ai tanti titolisti sparsi per il Paese e ai direttori di giornale che continuano a scrivere con un linguaggio da romanzo d’appendice.

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Il femminismo di oggi deve passare attraverso i media. Guerra su ogni fronte finché il nostro genere non sia parte integrante del vocabolario italiano.

Solo alcuni esempi

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