Così diverso, così bello. La cultura della Body Positivity | Culture
Top

Così diverso, così bello. La cultura della Body Positivity

Dalle sfilate a Milano al cambio di prospettiva senza pregiudizi nella moda e non solo

Così diverso, così bello. La cultura della Body Positivity
Preroll

redazione Modifica articolo

25 Ottobre 2021 - 14.34


ATF

di Linda Salvetti 

 

Per spiegare cosa sia la ” Body Positivity”, per fare chiarezza sul suo significato e perché sia attuale, mi servo di una celebre frase di Tiziano Terzani, il grande giornalista toscano che ha raccontato altri mondi e altre culture: “Solo se riusciremo a vedere l’universo come un tutt’uno in cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità, cominceremo a capire chi siamo e dove stiamo”.  Anche in un’era complessa come la nostra, in un panorama così ricco e multiforme, dovremmo provare a cambiare il punto di vista per guardare l’altro non come diverso da noi, ma come singolo nella sua originale e particolare diversità.

Il termine “Body Positivity” nasce tra il 2010 e il 2011 attraverso la pubblicazione di post sui social media di donne che celebravano orgogliosamente le forme curvy del proprio corpo, per sensibilizzare la valorizzazione e l’accettazione della propria individualità, contro ogni discriminazione o body shaming. Ben presto è diventato un movimento sociale che mira a sfidare i canoni culturali e sociali e a rendere alla diversità il proprio valore e la propria bellezza a prescindere da etnia, taglia, genere o abilità fisica.

Ebbene sì, si tratta di una rivoluzione necessaria che ha portato alla rivendicazione dell’uguaglianza ma anche delle specificità individuali. Un fenomeno già emerso nella storia, sotto altre forme, con i movimenti dei neri, delle donne e degli omosessuali, che oggi, risiede non solo nella vita politica, in quella sociale ed economica, ma anche e soprattutto nel linguaggio, perché le parole che usiamo, attraverso i media e nello spazio domestico, sono il terreno del nostro giardino segreto, del nostro futuro e del cambiamento che vogliamo diventare. Ma ci vorrà molto tempo per cambiare. 

“La moda, per esempio, ha capito il valore della diversità a metà”, ha scritto il direttore Simone Marchetti su Vanity Fair Italia, “le recenti sfilate di Milano, da sempre un laboratorio del futuro, hanno metabolizzato perfettamente la necessità di vedere modelli e modelle non solo bianchi, ma hanno invece fallito sul fronte della varietà dei corpi: sulle passerelle continuiamo ad ammirare troppe ragazze tutte uguali, tutte magre alte e filiformi, un appiattimento nella rappresentazione della diversità umana che non può più essere attuale o feconda.”
Ad eccezione, tuttavia, della sfilata inedita di Versace by Fendi, che alla fine delle kermesse di moda, ha portato il marchio di Donatella Versace e quello di Silvia Venturini Fendi a reinterpretare i canoni dell’estetica, per tentare di smantellare i tabù nella moda milanese. Dalle modelle curvy Paloma Elsesser e Precious Lee, a Lila Moss che ha sfilato in passerella con il dispositivo microinfusore per il diabete in bella vista su un fianco; portando un messaggio di inclusività e body positive.

Tuttavia, ancora è raro veder sfilare in passerella, modelle con protesi o sedute per caso sulla sedia a rotelle. Sono ancora molti i passi per uscire dalla ragnatela dell’effimera superficialità dell’essere esteriore. Infatti, molti influencer con disabilità hanno fatto emergere come il corpo disabile non sia ancora considerato come gli altri all’interno del movimento della body positivity. C’è chi spinge al cambiamento e all’accettazione di tutte le diverse soggettività e forme di bellezza; e chi si tira indietro, verso la normalizzazione, la compassione e la chiusura. E molto di questo cambiamento risiede in quella forma equivalente a ciò che i greci consideravano la più alta espressione di forza e bellezza per antonomasia in cui oggi, avviene il riscatto sociale del corpo con disabilità: le Paraolimpiadi. Qui, il linguaggio universale dello sport è capace di abbattere le disparità sociali, senza pregiudizi e senza paure, perché come cantava Caterina Caselli: “nessuno mi può giudicare, nemmeno tu”.

Native

Articoli correlati