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La Giornata mondiale contro l'omofobia: la storia di una battaglia aperta e del ddl Zan

Il 17 maggio è contro ogni discriminazione, ma è davvero sufficiente un singolo giorno per contrastare l'odio? Ecco un progetto online e le testimonianze di Linda e Massimo

La Giornata mondiale contro l'omofobia: la storia di una battaglia aperta e del ddl Zan
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16 Maggio 2021 - 22.21


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di Camilla Annicelli

Il 17 maggio è la giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia, lesbofobia e transfobia, comunemente riconosciuta con l’acronimo ”IDAHOBIT”, che sta per International day against homophobia, biphobia and transphobia, promossa e riconosciuta dall’Unione Europea e dalle Nazioni Unite nell’aprile del 2007. La scelta di questa data non è casuale: nello stesso giorno del 1990 l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) rimosse definitivamente l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali nella classificazione internazionale delle malattie. Con gli anni la campagna contro comportamenti omofobi e discriminatori fu estesa, concentrandosi in particolare sugli atti di violenza in merito alla comunità transgender, così nel 2009 il nome ufficiale della giornata aggiunse ”transphobia” e nel 2015 inserì anche ”biphobia”.

Sarà sufficiente una semplice data per rispettare la comunità LGBTQIA? E’ difficile, stando a quanto scrive ”Cronache di ordinaria omofobia.org”, un progetto nato nel 2013 per iniziativa di Massimo Battaglio. Sono 1237 le vittime che si sono registrate dall’anno in cui l’associazione ha iniziato il suo lavoro. Negli ultimi trenta giorni sono 176 le persone che hanno subito atti di violenza verbale o fisica, omicidi compresi. Un dato sconcertante se si tiene conto che i dati riguardano solo chi ha denunciato gli episodi accaduti. Eppure, nonostante tutto questo le piazze d’Italia si stanno riempiendo di cittadini che manifestano perché il disegno di legge a firma Zan sia definitivamente approvato dal Senato.

La storia di questo disegno di legge è lunga e tormentata. Alessandro Zan presenta per la prima volta alla Camera, il decreto nel maggio del 2018. Passano più di due anni quando il 5 novembre del 2020 avviene la prima lettura al Senato. Il testo del disegno è semplice: interviene su due articoli del codice penale, in altre parole il 604-bis e il 604-ter, ampliando la legge Mancino del 1993. Contiene misure di prevenzione e contrasto della violenza non solo per motivi di razza, etnia e religione ma aggiunge il contrasto alla violenza di sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. Nessun individuo è così legittimato a compiere atti di violenza fisica e verbale contro di loro. Quando si parla di discriminazioni legate al sesso della persona, si tratta il sesso biologico o anagrafico, mentre con genere s’intende l’appartenenza di un individuo a un sesso oppure a un altro, non tanto sulla base delle differenze di natura biologica, quanto su elementi di natura sociale, culturale e comportamentale.
Di conseguenza quindi, quando si discute sull’identità di genere si parla del fatto che ogni individuo ha una propria identità di genere che può anche essere differente dal sesso. Per ultimi troviamo orientamento sessuale, che ha a che fare con il modo di relazionarsi agli altri e provare attrazione romantica o sessuale per persone di un genere piuttosto che di un altro e la disabilità, intesa come sinonimo di menomazione, cioè un fatto accidentale che afferisce al fisico, alla mente e ai sensi di un individuo.

Chi si oppone lo fa basandosi principalmente su due elementi: la questione della difesa della libertà di espressione e quella sullo scardinamento di un articolo del codice penale, il numero 61. Sono espressioni di pensiero che si rifanno in molti casi a posizione clericali e che comunque trovano ascolto in molti ambienti politici e editoriali. In particolare è osteggiata da chi sostiene, a spada tratta, il concetto di ”famiglia tradizionale”.

Ritengo che l’approvazione di questa legge non limiti né censuri la libertà di espressione. Tutti potranno continuare a sostenere le proprie convinzioni e a battersi per ciò che ritengono giusto. Il punto focale – che poi è anche il motivo vero del contendere- del decreto in discussione è di sanzionare e condannare atti di violenza e istigazioni all’odio nei confronti dei membri della comunità LGBTQIA.

Le ragioni e i motivi che spingono le persone a compiere manifestazioni d’odio e d’intolleranza non possono però essere considerati ancora futili e inutili, perché nascono e sono alimentati da un pensiero privo di sensibilità, empatia e conoscenza. L’omofobia, così come la lesbofobia, bifobia e transfobia, è un’avversione non razionale ma ideologica verso coloro che sono considerati ”diversi” per chi amano o per l’identificazione percepita e manifestata di sé.

Le testimonianze di Linda e Massimo

Oggi è la giornata internazionale contro ogni discriminazione omofoba. Noi la festeggiamo dando voce a Linda, una ragazza di 25 anni e Massimo, studente di lettere classiche e cantautore di 20 anni. Hanno deciso di condividere, con noi, la loro esperienza in una società che ancora, nel Ventunesimo secolo, fatica a rispettare le loro scelte.
Ecco la testimonianza di Linda: ”Ho fatto coming out quando avevo diciassette anni. I miei genitori hanno accettato il mio orientamento sessuale con molta tranquillità e serenità, ricordandomi che sono e sarò sempre la loro bambina. Al tempo stesso però, mi sono trovata anche a dover convivere con quel pensiero obsoleto e retrogrado che troppo spesso la società condivide. A volte mi capita di essere osservata, o peggio ancora giudicata, facendomi sentire diversa quando, effettivamente, amo come tutti gli altri. Dico questo proprio perché credo fortemente che l’amore sia un sentimento capace di andare oltre ai pregiudizi, alla lingua che si parla, al colore della pelle e soprattutto oltre al sesso e al genere. Sarebbe bellissimo non doversi più nascondere, non avere più la paura di mostrarsi e non sentire più parlare di omofobia. E’ arrivato il momento di tutelare i membri della comunità LGBTQ, esattamente come ogni essere umano dovrebbe essere tutelato, attraverso una legge come il ddl Zan.”
Massimo è un giovane membro della comunità LGBTQIA e afferma:”I miei genitori mi hanno accettato subito. Anche solo il poter pronunciare questa frase è un privilegio, ne sono consapevole. In un primo momento ho pensato che tutti i miei problemi fossero giunti al termine. Però l’omofobia continua, e s’insinua negli istanti della vita quotidiana come fa la polvere in quegli spiragli dove la scopa non riesce ad arrivare. Quante volte ho sentito la frase ”sono solo parole”, o sentito inneggiare alla ”libertà di espressione” da parte dei miei oppressori. Oppressori che non sono nemmeno consapevoli di esserlo, la maggior parte delle volte. È questa la parte più terrificante. Se il mondo fosse davvero diviso in bianco e nero, in buoni e cattivi, la questione sarebbe più semplice. E invece l’omofobia parte spesso da uno sguardo obliquo, da una parola maligna di una persona cara, da un’espressione facciale.

Spesso si tendono a identificare col termine ”omofobia” solo l’aggressione fisica o un insulto pronunciato in televisione. Ma questi esempi sono solo il punto di arrivo, la massima espressione di qualcosa che ogni persona LGBTQ+ subisce quotidianamente.”

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