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Michele Serra: «Sì, la satira manca di rispetto, ma l’oltranzismo di Charlie Hebdo serve?»

Lo sberleffo deve avere un limite? Come affrontare l’Islam radicale? Il giornalista, scrittore e autore satirico parla del principio di tolleranza che non vale per tutti, di autocensura, dei social

Michele Serra: «Sì, la satira manca di rispetto, ma l’oltranzismo di Charlie Hebdo serve?»
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31 Ottobre 2020 - 10.20


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Già direttore di un inserto satirico, “Cuore” uscito dal 1989 al 1994, rimasto per l’appunto nel cuore di tanti lettori dell’Unità di quegli anni, giornalista che con la sua “Amaca” quotidiana su “Repubblica” squaderna davanti ai nostri occhi contraddizioni della politica e di noi cittadini, cittadino di sinistra che risponde settimanalmente a dubbi e critiche sulla sinistra e oltre sul Venerdì, Michele Serra ha sempre maneggiato con destrezza lo strumento della satira. Autore di una rubrica satirica sul settimanale l’Espresso e di romanzo emblematico dei nostri tempi, Sdraiati, e di testi televisivi, qui risponde su questioncelle alquanto cruciali a partire dal settimanale francese Charlie Hebdo e gli omicidi compiuti da islamisti radicali contro le sue vignette su Maometto. Michele Serra vive nell’Appenino ed è nato a Roma nel 1954 ma è cresciuto a Milano. Un inciso: usiamo il “tu” perché tra giornalisti è buona abitudine darsi del tu.

A proposito delle vignette di Charlie Hebdo su Maometto dopo la decapitazione dell’insegnante francese un ascoltatore, al programma “Prima pagina” di Radio3, ha garbatamente sostenuto che occorre pensarci prima di deridere una religione perché si manca di rispetto a milioni di persone. Cosa ne pensi?
È oggettivamente vero: si manca di rispetto a milioni di persone. Non solamente la satira, molti linguaggi (anche la retorica politica, specie quella nazionalista) sono del resto potenziali portatori di offesa. Il problema è che l’offesa produce, nell’Islam radicale, una reazione omicida. Anche io mi offendo quotidianamente per pratiche e parole altrui, eccome se mi offendo. Ma non mi sognerei mai di uccidere qualcuno perché pronuncia parole che mi disturbano o mi ripugnano. La mia opinione è che questa differenza, abnorme, di reazione all’offesa, non può essere affrontata limitandosi a ribadire un principio, quello della tolleranza, che è al tempo stesso sacrosanto e astratto. Miliardi di umani, specie quelli meno istruiti e meno sereni (spesso coincide con: meno benestanti) non sanno che farsene, della tolleranza. La tolleranza è un valore tutto nostro, e per giunta molto recente. Mi domando se il modo migliore per difenderlo sia l’oltranzismo di Charlie, che espone al martirio persone inermi e aizza il sadismo omicida dei jihadisti. Se tu hai di fronte un idiota fanatico, ripetergli “sei un idiota fanatico” non serve a difendere la tua ragione e anzi arma il suo torto.
In una democrazia la satira deve avere un limite oltre il quale non deve andare?
È un limite che esiste per il semplice fatto che la libertà in purezza non esiste. È infantile pensarlo. Ma quel limite (che esiste) non è decretabile da nessuna legge e da nessuna regola, fortunatamente. È un limite empirico, un limite “sul campo”, che si sperimenta giorno per giorno. Il valore della satira è che lavora sempre sul confine dei linguaggi “comodi” e codificati, cerca di scardinarli e di crearne dei nuovi. Ma in questo percorso incoccia, inevitabilmente, nel rischio che qualcuno si incazzi. “Chi si incazza è perduto” fu il motto di Sergio Staino per Tango (l’inserto satirico dell’Unità che precedette “Cuore” e uscì dal 1986 al 1988, ndr), io aggiungo che è perduto anche chi pretende che nessuno si incazzi. In certi autori satirici con i quali ho lavorato c’era una presunzione di immunità che non condividevo. “Tanto è satira”, dicevano, “e nessuno ha il diritto di dirci niente”. Ma non funziona così. La satira, se fatta con passione e con arte, comporta dei rischi. Espone alla rappresaglia: la querela, l’insulto risentito. Certo nessuno, ai tempi di Tango e Cuore, poteva mai immaginare che tra quei rischi ci fosse anche il martirio, come è capitato a quelli di Charlie, al mio amico Wolinski (meraviglioso spirito libero) e a tutti gli altri.

Nei confronti dell’islam il rischio dell’autocensura, per timore o per cautela, esiste?
Certo che esiste. Finire sgozzati da un idiota convinto che andrà nel Paradiso di Allah non è una prospettiva attraente. Si deve dare atto alla Cristianità che, da un paio di secoli, ha rinunciato al carcere, al rogo, alla persecuzione degli infedeli. Magari aiutata dai Lumi e dalla laicizzazione della società. L’Islam no, e questo è un problema enorme soprattutto per l’Islam. O lo risolve, o rischia di diventare agli occhi del mondo, ingiustamente, l’incarnazione stessa dell’intolleranza, dell’arcaicità violenta. È un problema simile a quello che la sinistra dovette affrontare ai tempi del terrorismo rosso: o si mette ordine nell’album di famiglia, o si corre il rischio di farsi sopraffare dalla propria minoranza criminale, che usurpa qualcosa di tuo per farne una bandiera di morte.
Una satira sferzante come quella del “Male” tra fine anni ’70 e il 1982, degli inserti dell’Unità come “Cuore” che dirigevi, prima “Tango”, oggi è possibile e fattibile senza venire travolti da reazioni verbalmente violente sui social?
Ovviamente no, gli insulti fioccano come locuste, ma basta non leggerli. Se dirigessi un giornale di satira, ma anche se dirigessi un giornale normale, metterei una multa per ogni redattore sorpreso a leggere i social… Ho anche io i miei limiti alla tolleranza.

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