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Il giurista Giostra in un libro: media attenti, il processo non è una condanna

Una lezione preziosa sul processo penale che non deve essere una risposta all’allarme sociale. E una critica all’informazione-spettacolo

Il giurista Giostra in un libro: media attenti, il processo non è una condanna
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4 Febbraio 2020 - 16.59


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Antonio Salvati

Un agile libro del giurista Glauco Giostra, Prima lezione di giustizia penale (Laterza 2020, pagine 193, euro 14) ci aiuta a meglio comprendere i temi sottesi al processo penale che da decenni ormai affollano le pagine e gli spazi dell’attualità politica. Giudicare è compito «impossibile ma necessario», precisa fin dalle prime pagine l’autore. Ogni società civile affida nelle mani di giudici di professione lo strumento (il processo) per punire tutti quei comportamenti che qualsiasi comunità non può lasciare privi di conseguenze.

Le norme del processo penale – avverte Giostra – vanno intese e vissute innanzitutto come «limiti valoriali» all’accertamento dei fatti. Infatti, non si può perseguire la verità a ogni costo, non tutti i mezzi di ricerca della prova sono ammissibili. Altrimenti dovremmo, come accaduto in passato, legittimare la tortura (non a caso chiamata, dai giudici dell’epoca, rigoroso esame). Tali regole non pongono solo limiti formalistici. Sono criteri finalizzati a favorire l’accertamento della verità, impedendo scorciatoie che spesso conducono ad aberrazioni ed errori di giudizio. Il contraddittorio nell’assunzione della prova è, pertanto, il principale elemento del nostro processo. Il metodo che, più di altri, garantisce l’affidabilità della ricostruzione storica di un fatto.

Il processo non può essere una condanna
Il volume, o meglio la lezione, risulta davvero preziosa. Considerando il clima politico e culturale odierno, spesso le aspettative che il cittadino medio nutre sull’accertamento dei reati discostano assai da quelle dell’articolo 111 della Costituzione. Sono, infatti, innumerevoli le vicende in cui il processo diviene anticipazione della pena e una risposta all’allarme sociale, a costo di andare oltre la legge, e la manifestazione di un bisogno immediato della condanna. Con i magistrati, talvolta, non più impegnati ad applicare le regole ma, piegandole al raggiungimento della verità a ogni costo, si trasformano in protagonisti di una guerra contro il nemico del momento, divenendo “moralizzatori” che lottano per il bene, anche a costo di sostituirsi alla politica.
L’amministrazione della giustizia non è una variabile indipendente che risponde soltanto alle norme che la governano e alla capacità dei giudici di darne corretta applicazione, spiega Giostra. È un’attività che intrattiene con la vita sociale profonde connessioni e reciproci condizionamenti.

Il giornalismo spesso non comprende la giustizia
Una parte del libro degna di interesse è quella relativa alla rappresentazione mediatica della giustizia. Spesso il giornalismo giudiziario trasmette innumerevoli notizie, ma scarsa comprensione in ordine alle cose della giustizia. Un accumulo di informazioni non genera un’intelligenza critica della vicenda giudiziaria. La giustizia ha bisogno di un racconto mediatico adeguato. L’impreparazione giuridica di molti giornalisti giudiziari favorisce una informazione-spettacolo. I fatti vengono presentati in forma sensazionalistica, sovente modificando il valore di alcuni atti o di taluni momenti dell’accertamento giurisdizionale, bisognoso invece di una accorta mediazione tecnica.

Velocità diverse dalla cronaca
L’amministrazione della giustizia, da una parte, e la sua rappresentazione massmediatica, dall’altra, affrontano i loro percorsi con due “velocità” molto diverse. Da un lato, vi è l’“andatura” del processo, con i suoi tempi “geologici”. Dall’altra, vi è l’incalzante rapidità dell’informazione dove la velocità della diffusione delle notizie eclissa quelle immediatamente recenti, quelle del giorno prima.

Giustamente l’autore immagina i media come un riflettore e il processo come una sorta di lentissimo tapis roulant. Poiché l’attenzione della cronaca non si può soffermare sul singolo procedimento penale per molto tempo, finisce per metterne in luce soltanto i primissimi passi, talvolta non insensibili alla pressione mediatica. Conseguentemente, assistiamo tutti i giorni ad un frenetico lancio e rimbalzo multimediale di notizie, dichiarazioni, fotografie, filmati e giudizi che avvolge l’opinione pubblica in un vortice informativo, senza offrirle alcun affidabile strumento di valutazione critica.

L’ansia di conoscenza dell’opinione pubblica in relazione agli episodi che più scuotono la convivenza sociale è una “domanda” troppo succulenta. A questa pressante domanda si risponde con un’“offerta” attenta spesso alla diffusione di notizie processualmente irrilevanti che riguardano la vita privata delle persone. Incivile abitudine. Incivile, ma allo stato non illecita. Diverso discorso è la pubblicazione delle notizie rilevanti per il processo, ancorché lesive della reputazione o della privacy. Esse dovrebbero essere sempre conoscibili e divulgabili dal giornalista: in tal caso l’interesse pubblico – e non il mero interesse del pubblico – alla conoscenza è in re ipsa, avendo il popolo diritto di sapere come viene amministrata giustizia in suo nome (art. 101 comma 1 Cost.).

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