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Così Saviano e i fotografi dei migranti smontano la menzogna dei “taxi del mare”

Lo scrittore racconta insieme ai fotoreporter l’inferno di chi migra: dai morti nel Sahara alle ustioni chimiche ai salvataggi delle Ong

Così Saviano e i fotografi dei migranti smontano la menzogna dei “taxi del mare”
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redazione Modifica articolo

3 Agosto 2019 - 16.39


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Nel mese in cui si viene travolti dall’azzurro mare d’agosto, come titolava uno dei film più penetranti, politici e amari della premio Oscar Lina Wertmuller, non guasterà segnalare un libro uscito a maggio e che si è piazzato stabilmente tra i volumi più apprezzati e venduti: “In mare non esistono taxi” (Contrasto editore, 176 pagine, 90 foto, € 21.90) dove la parola di Roberto Saviano si fa testimone e non protagonista. Lo scrittore intervista quattro fotografi, gli italiani Paolo Pellegrin e Giulio Piscitelli, gli spagnoli Olmo Calvo e Carlos Spottorno, che raccontano il fenomeno della migrazione seguito di persona, da vicino, obiettivo in pugno e con le loro immagini. E le foto di Martina Bagicalupo, Lorenzo Meloni, Alessandro Penso, Moises Saman, Massimo Sestini, punteggiano le pagine sul fenomeno che sta modificando il panorama umano e politico dell’Africa, di altri continenti, dell’Europa, dell’Italia. Dai luoghi di partenza al Mediterraneo, dalla speranza alla tragedia, da chi spera nel Sahara e chi spera in un soccorso in mare. Con un titolo che è una risposta precisa a chi, come scrisse Di Maio su Facebook parlando di “taxi del mare”, propaganda falsamente di navi-taxi come se chi sale su barconi destinati ad affondare paghi tariffe salate a tassisti di lusso via mare e andassero in gita di piacere al Lido di Venezia. E sapere che il libro vada bene nelle librerie conforta, anche se dispiacerà al leader pentastellato e  all’ aspirante comandante supremo in pectore dell’intero paese quale è il suo collega vicepremier.

“Questo libro è una testimonianza”, chiarisce sin da subito lo scrittore-giornalista che si batte quotidianamente per un semplice principio, quello della verità e del rispetto della vita umana ovunque sia stata generata e qualunque sia il colore della pelle. Saviano commenta le immagini che, scrive la casa editrice, i fotografi hanno raccolto sul posto: “le rotte, le traversate nel mar Mediterraneo e, prima, nel deserto del Sahara, i centri di detenzione in Libia e altrove, la permanenza in Italia, i salvataggi in mare ad opera delle ONG e della Guardia Costiera italiana”.

Sono immagini potenti. Che non mirano all’effetto spettacolare quanto ad essere formalmente impeccabili per avere più forza, perché è giusto e onesto che un fotografo curi la forma. Si raccontano viaggi estremamente pericolosi, che si concludono in tragedie che spesso non conosciamo (quanti muoiono nel Sahara? Quanti affogano e di cui non sappiamo? Perché affrontano rischi estremi a prezzi esagerati? ). Attraverso le foto, i commenti di Saviano alle immagini e le sue riflessioni e conversazioni con chi salva migranti, il libro parla di barconi malconci e di quanto abbiano fatto le Ong salvando vite in mare che l’attuale governo capitano di fatto da Salvini non vuole salvare dacché ha ostacolato e combatte le navi ong con ogni mezzo possibile.

“In mare aperto basta lo schiaffo di un’onda per ribaltare un’imbarcazione. In mare aperto non c’è nessuno e non c’è nessun taxi da chiamare. Raccontare tutto questo è difficile, smontare le menzogne è difficile, ma contro la bugia non c’è altra pratica che la testimonianza” appunta il quarantenne scrittore napoletano che con il libro-inchiesta Gomorra (Mondadori, 2006) ha raggiunto lettori di tutto il mondo sulla criminalità organizzata e sui traffici illeciti in Campania e che da allora deve vivere sotto scorta. “La fotografia può colmare la distanza tra la realtà e una visione fredda e astratta delle cose, soprattutto in una situazione fatta di slogan, di grande superficialità, che esprime la non volontà di affrontare davvero il tema”, dice Pellegrin a Saviano. Mentre Piscitelli, che è andato nel Sahara, stima che nel deserto muoiano almeno 2.500 persone ogni anno: prima i criminali li ammassano all’inverosimile su camion, poi li passano ai contrabbandieri libici, tanti finiscono abbandonati e morire di sete, di fame, nel deserto è atroce. Ma chi sopravvive ha una sorte durissima: i centri di detenzione libici vengono descritti come lager, le donne vengono violentate, torture e privazioni essenziali sono all’ordine del giorno in condizioni igieniche inesistenti, vomitevoli, si tratta di luoghi di lavoro forzato perché il migrante o la sua famiglia possa pagare il riscatto.

Conclude il libro un’intervista a Irene Paola Martino, infermiera per Medici Senza Frontiere. Che ricorda le condizioni pazzesche di quei viaggi su barconi: non solo nessuna igiene in un ammasso in pochi metri. Molti finiscono ustionati. Perché, lo descrive l’infermiera, la benzina del motore dei gommoni esce dalle taniche, finisce mescolata all’acqua salata del mare e con il sole provoca ustioni chimiche gravissime. Provocando quella che Pietro Bardolo, già medico a Lampedusa e ora eurodeputati, ha definito la “malattia dei gommoni”. E questi sarebbero i “taxi” immaginati da Di Maio.

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