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Moby Prince, la pista dei soldi per la strage dimenticata

Nel 1990 140 persone morirono nel rogo della nave. Un saggio-inchiesta di Sanna e Bardazza per Chiarelettere cerca di svelare verità nascoste

Moby Prince, la pista dei soldi per la strage dimenticata
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10 Aprile 2019 - 17.52


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Il 10 aprile 1991 una collisione navale nel mare davanti a Livorno provocò un’autentica strage: sul traghetto Moby Prince andato a fuoco morirono 140 persone e se ne salvò soltanto una. La vicenda lascia molti punti oscuri. Con il libro Il caso Moby Prince. La strage impunita Francesco Sanna e Gabriele Bardazza (Chiarelettere, pp. 192, euro 16.00) riprendono le fila di una storia in apparenza archiviata come tragico incidente. E sulla base di rivelazioni, documenti inediti e i risultati delle commissioni d’inchiesta vogliono dimostrare che non fu un semplice incidente e che, soprattutto, qualcuno ha voluto occultare fatti e coprire responsabilità.

La nave era diretta a Olbia. L’editore ricapitola i fatti: «Alle 22.25 Moby Prince, sperona la petroliera Agip Abruzzo della compagnia statale Snam ferma all’àncora. La collisione apre uno squarcio sulla fiancata della nave, il combustibile fuoriuscito prende fuoco e scatena un incendio. Centoquaranta vittime, la più grande tragedia della marineria civile italiana dal dopoguerra. Secondo la ricostruzione ufficiale, stabilita da due sentenze assolutorie e altrettante richieste di archiviazione, la causa dello scontro sarebbe stata una “nebbia fittissima”. E non ci fu soccorso perché le vittime morirono pochi minuti dopo la collisione. Caso chiuso». Naturalmente il caso non si è mai chiuso.
La verità era ben lontana dall’essere resa pubblica, sostengono Sanna, di professione comunicatore, project manager, collaboratore del ilfattoquotidiano.it, e Bardazza, libero professionista presso lo studio di Ingegneria forense Bardazza Adinolfi che si occupa di disastri in ambito penale e civile e che segue il caso dal 2010 su mandato dell’Associazione “10 Aprile”.

Sul fattoquotidiano.it Diego Petrini riferisce come il libro smonti le conclusioni ufficiali. E che la vicenda abbia visto forze impari in gioco: «Da una parte le compagnie di navigazione, dall’altra i morti (passeggeri e lavoratori) insieme alle loro famiglie. Da una parte la battaglia civile e solitaria di chi ha resistito per 28 anni non accontentandosi delle verità gualcite date dai tribunali della Repubblica e dall’altra l’accordo assicurativo che i proprietari delle navi firmarono 68 giorni dopo la strage dai tanti primati di dolore: la tragedia più grande della marineria italiana in tempo di pace, l’incidente sul lavoro più grave da quando è nata la Repubblica».

La stranezza, spiega il giornalista, è che la petroliera non doveva trovarsi lì. Che la fantomatica nebbia non fu assolutamente responsabile della tragedia. Sanna e Bardazza hanno condotto una vera e propria inchiesta pluriennale, approfondita, chiedendo informazioni anche a paesi lontani per dare una risposta ai familiari delle vittime che non dimenticano e che, a questo punto, non credono nei tribunali.  «In modo alquanto curioso sulla vicenda Moby Prince nessuno ha seguito i soldi per oltre vent’anni», scrivono stupiti i due autori. Mentre, sostengono, è lì la chiave che apre le porte alla verità: è in un «accordo assicurativo» del 18 giugno 1991.

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