I fondi umanitari Onu per il 2026 in riduzione. Ecco perché

La retorica delle agenzie umanitarie “sovraccariche, sottofinanziate e sotto attacco”, e quella della “crisi economica” o delle “priorità nazionali” non dovrebbe giustificare la riduzione degli aiuti quando la sofferenza umana diventa sempre più vasta e complessa

I fondi umanitari Onu per il 2026 in riduzione. Ecco perché
Gli aiuti in Sudan
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Marcello Cecconi Modifica articolo

8 Dicembre 2025 - 11.44


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“Questa è un’epoca di brutalità, impunità e indifferenza”. Oggi la stampa, con toni diversi, riporta questo grido dell’Onu contro l’apatia del mondo di fronte alla sofferenza di milioni di persone. Tom Fletcher, capo delle operazioni, ha presentato il nuovo piano umanitario per il 2026, con fondi “drasticamente ridotti” e giustificati della caduta libera delle donazioni.

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Ecco perché il piano per il prossimo punta a raccogliere “almeno” 23 miliardi di dollari per aiutare circa 87 milioni di persone in condizioni critiche, tra le quali quelle di Gaza, in Sudan, Haiti, Myanmar e Ucraina. Allo stesso tempo, l’organismo deve prendere atto che, nonostante l’appello globale per il 2026 ammonti a circa 33 miliardi di dollari per raggiungere 135 milioni di persone in 50 Paesi, le risorse disponibili restano molto inferiori al bisogno reale. i con conseguenze devastanti: meno aiuti, meno accesso a cibo, salute, educazione; crisi alimentari, collasso dei sistemi sanitari, interruzioni di programmi vitali.

Nel 2025, l’appello iniziale era molto più alto in quanto si parlava di 44- 47 miliardi di dollari per affrontare le crisi globali ma l’ammontare effettivamente raccolto è stato uno dei più bassi degli ultimi dieci anni. L’Onu, come spiega il Washington Post ha ricevuto invece solo 12-15 miliardi di dollari e di conseguenza, centinaia di programmi umanitari sono stati ridotti o sospesi, e 25 milioni di persone in meno hanno ricevuto aiuti rispetto al 2024 con conseguenze devastanti.

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Tradurre quel “drasticamente ridotti” pronunciato da Fletcher non è banale. Significa prendere atto che un meccanismo che solo pochi anni fa puntava a rispondere a emergenze su scala globale con decine di miliardi di dollari all’anno, ora è stato costretto a stringere la cinghia. Significa concretamente ridurre i piani, selezionare solo le emergenze più acute, tagliare progetti, rinunciare a interventi non immediatamente vitali. In pratica: persone e sofferenze restano, ma le risorse per intervenire diminuiscono e sempre più vite rischiano di non essere salvate.

La retorica delle agenzie umanitarie “sovraccariche, sottofinanziate e sotto attacco”, accompagnata da quella della “crisi economica” o delle “priorità nazionali” non dovrebbe giustificare la riduzione degli aiuti quando la sofferenza umana diventa sempre più vasta e complessa. Se davvero vogliamo chiamarci una comunità internazionale, la solidarietà non può diventare l’ultima ruota del carro ma deve essere la prima. Urge una presa di coscienza collettiva perché quando un numero crescente di esseri umani chiede aiuto il silenzio e l’indifferenza diventano complici.

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