Cher usò quasi per caso “l’auto-tune” che poi è diventato una moda

Alla fine degli anni Novanta la cantante lo usò per un brano che ebbe grande successo e da allora ne hanno fatto uso alcuni dei più grandi artisti. Ma in che misura è giusto usare una tecnica che tende a omologare tutta la musica?

Cher usò quasi per caso “l’auto-tune” che poi è diventato una moda
Cher
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18 Ottobre 2024 - 16.03


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di Manuela Ballo

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Non lo sapeva Cher, ma quella scelta di cantare Believe con il supporto di un voice coder avrebbe cambiato i destini di gran parte della musica contemporanea.
Torniamo a quel momento: “Do you believe in life after love?” , inizia così il ritornello , ormai iconico, di una canzone che riecheggia nella mente specie di chi ha vissuto gli anni ’90 e 2000 e che  tratta un tema molto comune , quello  di una persona che riesce a riprendersi e a stare bene con sé stessa dopo la rottura di una relazione amorosa.

Non era un brano eccezionale tant’è vero che i produttori lo avevano a lungo tenuto tra i cassetti in attesa di riprenderlo, modificarlo e renderlo qualcosa di pubblicabile. Era il 1998 e la scena musicale era dominata dalle nuove pop star e dai suoni sintetici. Cher era in discesa e bisognava trovare quel quid in più che le permettesse di emergere. È proprio da un’ esibizione vista in tv da Cher che nasce l’ idea di   utilizzare  un voice coder per dare alla voce un caratteristico effetto robotico.

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Affascinata dal risultato, decide di usarlo per il suo nuovo progetto musicale. Entra quindi in gioco il produttore Mark Taylor, che l’anno precedente aveva scoperto un innovativo software chiamato Auto-Tune, poco conosciuto e poco utilizzato nell’ambiente discografico.  Grazie a quell’escamotage Believe scalava tutte le classifiche piazzandosi alla prima posizione rispetto a 23 paesi e diventando, in seguito, la canzone che maggiormente ha influenzato gli anni 2000.

Sono molti i cantanti che, da quel momento ad oggi, hanno utilizzato questo strumento, chi con maggiore chi con minore consapevolezza. Molto usato nella scena rap e trap , ma non solo, questo strumento è entrato in molte case discografiche e studi di produzione interessando nomi del calibro di Kanye West che ha  pesantemente utilizzato l’Auto-Tune nel suo album “808s & Heartbreak”, o Britney Spears che lo ha usato in brani come “Toxic” (2003) e “Gimme More” .

Oggi, nella  musica italiana, è utilizzato in particolare per i generi trap, pop e indie: non è un caso, infatti,  che ad usarlo siano Mahmood, Achille Lauro e Sfera Ebbasta. Anche nella scena indie italiana troviamo Cosmo, che utilizza l’ auto-tune in modo creativo per caratterizzare brani come  “l’ultima festa” in cui l’effetto vocale diventa parte integrante di un brano dalle sonorità elettroniche  e dance.  Non solo Cosmo, ma anche Motta  lo utilizza per creare atmosfere cupe e distorte oppure pensiamo al brano Lexotan de I cani.

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L’Auto-tune  è dunque molto utilizzato, serve e rappresenta un utile aiuto nella produzione musicale di molti artisti. Da semplice strumento di correzione del pitch usato perlappunto per correggere le voci, è diventato un vero e proprio effetto artistico in grado , in alcuni casi, di caratterizzare l’identità musicale di molti artisti degli ultimi periodi. Tuttavia , nonostante le grandi possibilità che permette, specie negli ultimi tempi,  ha sollevato vaste polemiche sul suo abuso. Utilizzarlo per creare effetti vocali unici e moderni non è un male, ma sarebbe bene limitarne l’uso questo perché non si può guardare solo al versante della modernità. Altrimenti il rischio che si corre è quello di appiattire il repertorio musicale non rendendo più unica la singola creazione.

Questo suono indistinto produce standardizzazione e omologazione; un tema indagato anche nel dibattito sulla musica e non solo nel settore dei consumi materiali. Già uno studioso, come il sociologo Theodor L. W. Adorno, ci aveva messo in guardia sui rischi dell’omologazione e della standardizzazione quale primario effetto dell’industria culturale.  Oggi sta avvenendo proprio questo. Ogni canzone assomiglia alla successiva, non si è più in grado di distinguere il nuovo e particolare da ciò che già è stato usato e abusato. L‘industria culturale tende a rendere tutto omologato e anche il libero arbitrio del consumatore e le sue scelte: “Il concetto di gusto è superato in quanto – scriveva Adorno- non c’è più una scelta: l’esistenza del soggetto stesso, che potrebbe conservare questo gusto, è diventata problematica quanto, al polo opposto, il diritto alla libertà di una scelta che non gli è più empiricamente possibile. […] Per chi si trova accerchiato da merci musicali standardizzate, valutare è diventata una finzione”.

Sarà forse anche per questo che il dibattito sull’uso dell’Auto-Tune continua a dividere il mondo della musica: da una parte c’è chi sostiene che vada ad ampliare la possibilità creativa generando effetti sonori e possibilità espressive degni di una certa attenzione; dall’ altra, invece, c’è chi lo percepisce come una minaccia alla creatività, uno strumento fuorviante capace di intaccare la genuinità della musica.

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I detrattori difatti calcano la mano sul fatto che questa tecnologia abbassi gli standard richiesti per essere considerati veri cantanti, permettendo a chi possiede meno abilità vocali di apparire  comunque professionale ed abile vocalmente. Non è un caso, infatti, che nei concorsi canori questa tecnologia non venga , almeno per il momento , utilizzata perché potrebbe alterare il giudizio che si dà alle capacità dei singoli partecipanti.

In un mondo in cui la tecnologia tocca sempre più molti aspetti delle nostre vite si sta facendo strada una domanda: è ancora l’abilità vocale il criterio principale per valutare un artista o stiamo entrando in un’epoca in cui l’autenticità cede il passo alla perfezione tecnica?

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