Paradossi dell'evoluzione: scompare il dinosauro e nasce l'agricoltura

L'entomologo Ted Schultz rivela come un evento legato alla scomparsa dei dinosauri, abbia innescato una rivoluzione evolutiva, gettando le basi per un’agricoltura ante litteram

Paradossi dell'evoluzione: scompare il dinosauro e nasce l'agricoltura
L'entomologo dr. Ted Schultz - Smithsonian
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4 Ottobre 2024 - 12.08


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Nel vasto scorrere del tempo geologico, accadono eventi in grado di riplasmare la trama stessa della vita sulla Terra. L’impatto dell’asteroide che segnò la fine del Cretaceo con un evento apocalittico sia per i dinosauri che per molte altre specie vegetali, ma, per un paradosso evolutivo, aprì nuove possibilità per altri organismi meno colpiti. E’ in questo scenario che, secondo lo studio pionieristico del dr. Ted Schultz, le formiche iniziarono un’avventura agricola destinata a perdurare per 66 milioni di anni.

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Quando la coltre di polvere e detriti coprì il cielo, la fotosintesi venne quasi completamente arrestata, privando la Terra di gran parte della sua vegetazione. I funghi, però, trovandosi immersi in un oceano di materia organica in decomposizione, prosperarono in modo inedito e le formiche, piccoli sopravvissuti in un mondo di caos, entrarono in contatto con questi prolifici decompositori, ne compresero presto la potenzialità ed iniziarono a sfruttarli. Secondo Schultz, è proprio così che nacque una simbiosi che avrebbe cambiato per sempre l’equilibrio della biodiversità.

La scoperta non si basa su semplici deduzioni: il gruppo di ricerca dello Smithsonian, attraverso 475 specie di funghi e 276 di formiche, ha tracciato complessi alberi evolutivi che mostrano in modo incontrovertibile come le formiche abbiano iniziato a coltivare funghi proprio nel periodo successivo alla catastrofe. Fu un’iniziativa non intenzionale, un adattamento istintivo che, col passare dei millenni, si trasformò in un sistema altamente raffinato; non si trattava di coltivare funghi selvatici trovati occasionalmente, infatti, le formiche diventarono agricoltori veri e propri, capaci di creare condizioni ottimali per la crescita dei funghi, proteggendoli da parassiti e contaminazioni.

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Il concetto stesso di agricoltura, spesso associato esclusivamente all’essere umano, assume qui una dimensione molto più ampia e antica. Le formiche tagliafoglie, uno degli esempi più significativi, non consumano direttamente le foglie che raccolgono, ma utilizzano questi frammenti vegetali per nutrire i loro funghi, che a loro volta producono gongylidia, piccole strutture fungine che costituiscono il nutrimento primario per le formiche stesse. In questa danza simbiotica, ogni parte ha un ruolo preciso e nulla è lasciato al caso.

In particolare, il lavoro di Schultz ha rivelato che i funghi coltivati dalle formiche sono ormai completamente dipendenti dai loro coltivatori, che isolati dai loro parenti selvatici, non potrebbero più sopravvivere senza l’intervento costante delle formiche. Allo stesso modo, le formiche hanno sviluppato un legame simbiotico così profondo da essere incapaci di vivere senza i loro giardini fungini. Una nuova regina, quando fonda una colonia, porta sempre con sé un frammento del fungo della colonia madre, quasi a rappresentare un legame ancestrale che non può essere spezzato e questo dettaglio, apparentemente marginale, racchiude la potenza di un’evoluzione congiunta durata milioni di anni.

Ma questo non è tutto, le scoperte di Schultz non si limitano alla semplice constatazione di questa antica agricoltura; analizzando i genomi delle formiche e dei funghi, il suo gruppo è riuscito a datare con precisione l’origine di una fase più avanzata di questa simbiosi, avvenuta 27 milioni di anni fa, quando i climi della Terra cominciarono a raffreddarsi. Le foreste tropicali, che fino ad allora avevano offerto un ambiente umido e stabile per la coltivazione fungina, iniziarono a frammentarsi in habitat più aridi, come savane e praterie. Questo mutamento climatico costrinse le formiche a trasportare i funghi in questi nuovi ambienti, isolandoli ulteriormente dalle popolazioni ancestrali e rendendoli completamente dipendenti dalle formiche per la loro sopravvivenza.

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In un certo senso, come afferma Schultz, le formiche domesticarono i funghi nello stesso modo in cui gli esseri umani avrebbero fatto milioni di anni dopo con il grano e il mais in un processo non solo biologico, ma ecologico. Le formiche, per proteggere i loro giardini fungini, hanno sviluppato strategie evolutive complesse, come l’uso di batteri produttori di antibiotici che difendono le coltivazioni dai parassiti fungini e mostrando, attraverso queste soluzioni, un ingegno evolutivo che potrebbe insegnare molto anche all’agricoltura umana moderna.

Ciò che rende straordinario questo sistema non è soltanto la sua complessità tecnica, ma la sua longevità e sostenibilità. Mentre l’agricoltura umana, spesso basata su monocolture, ha sofferto di fragilità genetiche e problemi legati alla perdita di biodiversità, le formiche hanno sviluppato un equilibrio ecologico molto più raffinato. Nei loro giardini fungini, nonostante coltivino un solo tipo di fungo, esiste una biodiversità microbica che protegge le coltivazioni da malattie devastanti. Schultz sottolinea come questi piccoli agricoltori siano riusciti, in modo naturale, a evitare molti degli errori che gli esseri umani hanno commesso nei loro tentativi di dominare la natura.

Le osservazioni raccolte durante 30 spedizioni in America Centrale e Meridionale, combinate con anni di analisi genetiche, hanno creato il più vasto archivio di dati sul rapporto tra formiche e funghi. È attraverso questo tesoro di informazioni che Schultz ha potuto riscrivere la storia dell’evoluzione agricola, dimostrando come, in tempi di crisi, anche le specie più piccole possano trovare soluzioni di sopravvivenza ingegnose, trasformando le catastrofi in opportunità evolutive.

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di Lo.Lazz

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