Gabriel García Márquez: un’ultima magia a 10 anni dalla morte

Del premio Nobel per la Letteratura 1982 è uscito “Ci vediamo in agosto”, romanzo postumo e prima opera inedita degli ultimi vent’anni

Gabriel García Márquez: un’ultima magia a 10 anni dalla morte
PARIS, FRANCE - september 11. Colombian writer Gabriel Garcia Marquez during Portrait Session held on september 11, 1990. Photo by Ulf Andersen / Getty Images
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20 Aprile 2024 - 11.30


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di Margherita Degani

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«Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito».

Di certo sono molti i lettori che avranno riconosciuto l’incipit del suo capolavoro, Cent’anni di Solitudine, pubblicato nel 1967. Il 17 aprile 2014, all’età di ottantasette anni, ci lasciava Gabriel Garcia Marquez, uno dei più amati e significativi scrittori del XX secolo, vincitore del premio Nobel per la Letteratura 1982. Vivere per raccontarla (2003), incentrato sulla sua storia e le memorie di una vita è stato il suo ultimo scritto. Ma si trattava davvero dell’ultimo libro?

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Quest’anno, proprio in occasione del decimo anniversario dalla scomparsa, è da poco uscito Ci vediamo in agosto, un romanzo postumo dello scrittore e prima opera inedita degli ultimi vent’anni. Sembra che Márquez vi abbia lavorato per circa 25 anni, scrivendone almeno cinque versioni, prima di imporre alla famiglia l’eliminazione di tutte le bozze. Nel 1999, tuttavia, aveva letto alcuni brani del testo ad un evento pubblico e alcuni estratti erano comparsi su diverse testate, quali il quotidiano spagnolo El País e la rivista statunitense New Yorker.

Nel 2010 aveva inviato una bozza del manoscritto alla sua agente dell’epoca, Carmen Balcells, che successivamente ne aveva affidato la curatela a Cristóbal Pera, favorevole alla sua pubblicazione. Inutile dire che l’autore si è rifiutato fino alla fine. Al di là della sua volontà, secondo i figli già inficiata dalla malattia, i familiari hanno quindi deciso di darlo alle stampe; nonostante non possa essere paragonato alle sue grandi opere, sostengono di averne apprezzato il meritevole valore letterario, assieme all’eccezionalità del tema e delle caratteristiche, difficilmente rintracciabili nel resto della sua produzione.

Da quel suo primo capolavoro, Cent’anni di Solitudine, passando per Cronaca di una morte annunciata, altrettanto fondamentale per la sua carriera, poi L’amore ai tempi del colera e Memoria delle mie puttane tristi, che aveva suscitato non poco dibattito a causa di uno sguardo rivolto alla prostituzione. Si arriva così a quello, che dicevamo, il suo “ultimo scritto”, Vivere per raccontarla (2003), incentrato sulla sua storia e le memorie di una vita.

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Marquez nasce nella pressoché sconosciuta città colombiana di Aracataca, dove poi cresce sotto l’ala protettiva dei nonni materni, il colonnello soprannominato dal nipotino Papalelo e Tranquilina. Se il primo influirà sul futuro del celebre scrittore per avergli insegnato quel “miracolo” del ghiaccio, carico di simbologia, che ritroviamo nei suoi testi, la seconda, molto legata alle fiabe ed alle storie locali, gli trasmetterà la passione per il racconto, nonché l’abilità di fare dello straordinario qualcosa di naturale.

Inizia gli studi di Giurisprudenza a Bogotà, ma ben presto capisce di non essere sufficientemente interessato; raggiunge allora Cartagena, località in cui intraprende l’attività giornalistica per diverse testate, tanto americane quanto europee. A seguito dei numerosi successi letterari, l’inizio del declino fisico e mentale si può far risalire al 1999, quando gli viene diagnosticato un cancro. Sempre più affaticato e debole, si spegne nel 2014, lasciando in eredità una traccia indelebile nella storia della letteratura e nelle future generazioni di autori, come uno tra gli scrittori più amati del XX secolo e probabilmente il maggior rappresentante del Realismo magico.

Corrente primariamente artistica, caratterizzata da un sguardo sul mondo a metà tra lucidità ed incantato, fu poi applicata al contesto letterario da Angel Flores, in un suo saggio del 1955. Ebbene, senza alcun dubbio è proprio Gabriel García Márquez a codificare le regole complessive di questa corrente letteraria molto densa e difficile da definire in maniera univoca. Contraddistinta dalla presenza di elementi inaspettati, straordinari, surreali e magici, cala tuttavia le sue vicende all’interno di contesti del tutto ordinari e verosimili.

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L’obiettivo del realismo magico non è infatti quello di allontanarsi dalla realtà, ma di spingere l’intuizione, il paradosso, la fantasticheria e la dimensione onirica ad emergere, dando nuovo significato a tutti quegli aspetti della realtà apparentemente irrilevanti. Altre componenti tipiche sono l’assenza di temporalità o la sua distorsione, il ricorso ad elementi mitici e leggendari, l’abuso di dettagli di tipo sensoriale nelle descrizioni. Destinato a camminare sul confine sottile che separa reale e fantastico, il realismo magico può considerarsi uno dei generi letterari più affascinanti del secolo scorso.

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