Le donne in Italia votano meno degli uomini. Uno sguardo al passato

Una suffragetta americana fu multata per voler votare, nel 1872, senza averne il diritto. In Italia il diritto al voto è arrivato solo nel 1945 ma le donne mostrano di essere le più stanche della partecipazione al voto. Alla ricerca dei molti motivi.

Le donne in Italia votano meno degli uomini. Uno sguardo al passato
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Marcello Cecconi Modifica articolo

18 Giugno 2023 - 19.53


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Le donne in Italia si astengono alle elezioni più degli uomini e la tendenza è in aumento. Negli Stati Uniti non è così. Perché accade questo? Per capire bisogna fare un “piccolo” salto indietro.  Un secolo e mezzo fa, esattamente il 18 giugno 1873, un giudice degli Stati Uniti d’America condannò una donna, la suffragetta Susan B. Anthony, alla multa di 100 dollari per aver tentato di votare alle elezioni presidenziali del novembre dell’anno precedente. Sarà per questo più antico percorso delle suffragette di oltre Atlantico a rendere lì il problema un po’ diverso?

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Di certo negli Stati Uniti la lotta di emancipazione delle donne, anche per questo diritto, iniziò nella decade 1860-70, quando ancora in Italia si doveva pensare a unificare la frastagliata penisola. In Usa la lotta delle suffragette fu premiata alle elezioni del 1920 e, ancora oggi, a distanza di un secolo le donne statunitensi sono proporzionalmente più numerose degli uomini nell’esprimere il voto.

Anche i dati degli altri paesi dell’Ocse ci dicono che la differenza tra il tasso di partecipazione al voto degli uomini e delle donne è lieve nella maggior parte dei paesi. Solo in Svizzera, con il diritto delle donne al voto arrivato addirittura molto tardi, nel 1971, gli uomini superano le donne di circa 5 punti percentuali, come in Italia nel 2018 e nel 2022. Anche da noi il diritto al voto delle donne arrivato nel 1945 non è antico come in Usa. Si potrebbe interpretare che dove più tardi il diritto è stato conseguito più presto le donne si sono stancate. Ma è troppo poco per rappresentare un problema così importante.

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Generalmente consideriamo il numero dei votanti come tenuta del sistema democratico rappresentativo, l’unità di misura del grado di partecipazione alla cosa pubblica e della consapevolezza di incidere nelle scelte della società. L’allarme c’è, infatti, quando troppi elettori delle democrazie occidentali non vanno a votare. Ebbene, se questi criteri venissero trasposti sulla diversificazione di genere dell’affluenza in Italia, potremmo sostenere che le donne sono meno interessate degli uomini alla tenuta della nostra democrazia? 

A mio avviso non sono sufficienti queste tradizionali categorie per spiegare il fenomeno dell’astensionismo nel suo complesso, figuriamoci per andare a scandagliare le differenze di genere. Di certo nel vecchio millennio la protesta stava nella scheda bianca, si andava nell’urna e con il gesto si dichiarava che quella politica non ci rappresentava più. Poi però la protesta è stata nel restare in casa perché il “dovere civico” di andare all’urna non era più sentito. Per le donne, in Italia, ciò è avvenuto in maniera maggiore rispetto agli uomini e la forbice è aumentata nelle ultime due elezioni politiche.

L’aumento della rappresentanza femminile in Parlamento e nei partiti verificatosi negli ultimi due decenni pare abbia ottenuto l’effetto opposto. Sicuramente questo aumento della rappresentanza femminile nelle istituzioni e nei partiti non si è mai calata nella realtà della vita quotidiana. Un segnale è il divario nel tasso di occupazione, solo una donna su due oggi lavora. Una prova di quanta strada abbiamo da fare affinché le donne raggiungano la vera uguaglianza.

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In fondo anche i partiti e i movimenti restano attaccati alla tradizionale cultura maschilista e poco è cambiato anche dopo l’ingresso roboante di alcune donne in questi ultimissimi periodi. La fatica a trovare vero e autorevole spazio nella politica potrebbe essere uno dei motivi per cui preferiscono starne lontane. Insomma, non mi pare politicamente scorretto ammettere che c’è ancora divisione fra la dimensione pubblica delle istituzioni e del lavoro a forte connotazione maschile e quella privata, della casa e della famiglia, ancora a forte connotazione femminile.

La “femminista” ante litteram, Susan B. Anthony, un secolo e mezzo fa, al giudice americano che la accusava di aver violato la legge rispondeva: “Sì, vostro onore, ma sono leggi fatte dagli uomini, interpretate da uomini e amministrate da uomini in favore degli uomini e contro le donne” – e aggiunse – “Io non pagherò nemmeno un dollaro per la vostra ingiusta condanna”.  In parte è ancora così!

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