Quel 9 maggio del 1978 in cui ammazzarono Moro e Impastato

Un giorno dedicato alla memoria. E alla coscienza di quello che è stato, di quello che sarebbe potuto essere.

Quel 9 maggio del 1978 in cui ammazzarono Moro e Impastato
Aldo Moro e Peppino Impastato
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9 Maggio 2023 - 09.23 Globalist.it


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Nove maggio 1978, nello stesso giorno, la mafia uccise Peppino Impastato e le Br uccisero Aldo Moro. Un giorno importante il 9 maggio, giorno della memoria. Giorno della necessità di non gettare la memoria, la storia, il coraggio e la verità nel buco nero di una “pacificazione impossibile”. Nel buco nero della vergogna e della poca democrazia, dell’amnesia e delle dimenticanze come punto di partenza per una società meno giusta, più triste, meno partecipativa, più volgare e violenta.

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La mafia uccise Impastato e le Br ammazzarono Moro. Questo è chiaro. Ma la domanda che resta accesa e alla quale nessuno ancora ha il coraggio di rispondere è: a vantaggio di chi? O, per spiegarmi meglio: chi si avvantaggiò di questi due atti di violenza terroristica? Quale Italia venne fuori dalla pagina oscura e sanguinaria di quegli anni? Mettere a tacere una voce, mettere a tacere una speranza di cambiamento nazionale. Spegnere con un delitto chi poneva domande; sparare alla nuca di un uomo inerme che voleva superare il concetto di sovranità limitata che aveva offuscato i primi decenni della nostra Repubblica.

Aveva offuscato. Che offusca. Perché lo stile è sempre quello, con le armi o con l’arroganza del potere o con la potenza della comunicazione: le voci che dissentono vengono messe a tacere. A favore di un sistema di valori indegno, violento e mafioso. Che non fa sconti e pretende una democrazia sbrindellata, una sovranità nazionale finta, una memoria labile.

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Mafia e terrorismo hanno disegnato la democrazia a pezzi che stiamo vivendo. Hanno rappresentato il machete con il quale si è disintegrato un progetto di sovranità compiuta, di partecipazione alla vita democratica. Per un totale, costante e soffuso avvelenamento delle coscienze. E chi si è avvantaggiato da questa perversa deriva culturale e politica, oggi parla di quella “pacificazione” di cui scrivevo. Impossibile pacificazione, dico io. Perché ci fosse, perché si rammendassero gli strappi della nostra storia, sarebbe necessario il filo della verità. Un filo che è negato a noi cittadini. Che, per forza di cose, dobbiamo continuare a batterci perché un giorno sia fatta questa benedetta verità sulla nostra storia recente e perché la democrazia che i nostri padri hanno conquistato con il sangue, non diventi il tappetino sul quale i potenti e gli arricchiti con modalità sconosciute, si puliscano i piedi.

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