"E.T.-l'extraterrestre", quarant'anni e non sentirli

Nel film di Spielberg l'alieno dall'espressione sospesa fra stupore e malinconia, opera di Carlo Rambaldi, fece breccia nei cuori duri degli anni Ottanta.

"E.T.-l'extraterrestre", quarant'anni e non sentirli
Elliott e E.T.
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23 Dicembre 2022 - 12.56


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di Marcello Cecconi

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Eravamo all’inizio degli “sfavillanti ottanta” segnati dal vento del neoliberalismo reaganiano con solidarietà, etica e sensibilità che finivano sotto i piedi. Eppure E.T. L’extraterrestre, il racconto-fiaba che Steven Spielberg ha trasformato in un inno alle emozioni pure e all’accoglienza senza pregiudizi fu un successo mondiale clamoroso. Quel dolce mostriciattolo, nato nell’ industria cinematografica hollywoodiana e uscito nelle sale americane quarant’anni fa, nell’estate del 1982, fruttò ben quattro premi Oscar: miglior colonna sonora originale, migliori effetti speciali, miglior suono e miglior montaggio sonoro. È divenuto un’icona della cinematografia che continua a consolidarsi con il tempo. Protagonista l’alieno E.T. creato, nella forma e sostanza, da un italiano della provincia di Ferrara, “l’effettista” Carlo Rambaldi.

Sei mesi dopo, proprio durante le feste natalizie, uscì anche in un Italia dove il vento del neoliberismo si faceva sentire attraverso il ritorno al consumismo sfrenato. Si appetiva uno stile di vita sfrontato e individualista ben rappresentato dalla neotv (così l’avrebbe chiamata Umberto Eco) di Berlusconi che con il martello del marketing pubblicitario mise in discussione e confusione la tv pedagogica pubblica. Sensibilità ed empatia erano considerate come debolezze ma, nonostante ciò, la pellicola di Spielberg seppe trovare la chiave giusta per fare centro anche da noi.

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Nella storia dell’alieno che trovò rifugio e accoglienza a casa di Elliott con un legame cementato da un’intesa simbiotica si palesava una condanna di Spielberg al conformismo imperante. Quella strana creatura era, oltre che tecnologicamente, anche moralmente dotata di una sensibilità ed empatia così straordinarie da superare il cinismo del tempo. Fu per questo che fece breccia nei cuori duri degli anni Ottanta e, al di là dei tempi, è ancora oggi uno dei personaggi più nobili della cinematografia.

Le pellicole di fantascienza catastrofiste erano il pane quotidiano dei giovani di allora che le continuavano a vivere sulle consolle delle sale da gioco e, poi, in casa con i primissimi home computer dotati di joystick. Eppure la fiaba fantascientifica di Spielberg fu amata da quei giovani che, evidentemente, solo all’apparenza sembravano refrattari alla sensibilità. In più attrasse tante altre generazioni (ogni generazione ha la sua parte di bambino) proprio per la capacità di far sembrare reale e possibile una storia di pura fantascienza.

Il momento di “telefono casa”

Tanta parte del merito anche alla sapienza di Rambaldi che riuscì a dare un’anima all’alieno bruttino che voleva “telefonare casa” con quell’espressione sospesa tra stupore e malinconia. Carlo Rambaldi era diventato in breve tempo l’autore degli effetti speciali più famoso di Hollywood, l’unico di questa disciplina ad aver assunto la popolarità di una star. Infatti, oltre che con E.T. L’extraterrestre, aveva già vinto l’Oscar per King Kong (1976) di John Guillermin, Alien (1979) di Ridley Scott. Prima di trasferirsi negli Sates durante gli anni Settanta, aveva compiuto gli studi all’Istituto di Belle Arti di Bologna affermandosi come pittore di stile cubista con influenze picassiane. In una mostra del 1952 aveva presentato il quadro “Le donne del Delta” nel quale, come racconta alla Rai in un’intervista datata di Claudio G.Fava, ci sono le figure di donne dal collo allungato e la faccia prominente che avevano ispirato E.T.

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Il quadro di Rambaldi “Donne del Delta”

Da più di un mese sono in programma iniziative per il quarantennale di E.T. l’extraterrestre con proiezioni in sala e mostre in molte città italiane, oltre a continui passaggi nelle diverse tv e piattaforme. La pellicola è settima nella classifica dei maggiori incassi di tutti i tempi (tenendo di conto dell’inflazione) dove prima è Via col vento del 1939.

A Raf, che in una canzone dell’epoca si domandava “Cosa resterà di questi anni Ottanta” si può rispondere che è restato e resterà di certo questo film che se era un simbolo di speranza per quegli anni, lo resta, a maggior ragione, anche oggi.

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