Dopo la DAD una scuola tutta da ripensare

Gli effetti della pandemia hanno pesato sui giovani e le donne. Agli studenti che protestano non si può rispondere con i manganelli.

Dopo la DAD una scuola tutta da ripensare
Studenti in protesta
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14 Febbraio 2022 - 11.48


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di Agostino Forgione

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La scuola italiana sta vivendo un periodo di crisi: si dice a gran voce ormai da anni.  Sentirlo ripetere non rappresenta più una novità.  E’ ormai una condizione endemica del nostro sistema d’istruzione. La pandemia ha avuto però l’effetto di snervare da dentro gli ingranaggi che, in un modo o nell’altro, continuavano ancora a ruotare e ha acuito, fino al parossismo, dinamiche che già mostravano le loro gravi falle.

Il 2 febbraio sono entrate in vigore le nuove norme del disegno di legge sul sistema scolastico: si va verso una ripresa dell’attività didattica in presenza con minori restrizioni. Proprio in questa circostanza diventano sempre più palesi i danni causati da due anni di didattica a distanza (DAD). L’ultimo rapporto dell’istituto Invalsi rivela che il 44 per cento dei ragazzi usciti dalla terza media non ha le competenze minime in italiano. Così per la matematica dove il dato sale al 51 per cento. Sono percentuali molto più alte rispetto all’ultima rilevazione realizzata nella fase pre-pandemia. Sono i segni che testimoniano le difficoltà, in primo luogo relazionali, che hanno gravato sui più giovani.

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Emerge dai dati un divario socio-economico che la scuola dovrebbe contribuire ad annullare e che, invece, è diventato ancora più significativo. Solo le famiglie più abbienti si sono potute permettere di affiancare e supportare i figli nelle lezioni online, considerati gli innumerevoli problemi, sia di natura tecnica sia sociali, che questa pratica comporta. A pagare il prezzo maggiore sono state le donne che, per far fronte a tali circostanze, si sono viste obbligate a portare i maggiori pesi:  così in molti casi sono state  costrette a lasciare il lavoro a causa dell’aumentato impegno domestico.

Il rapporto Bes dell’Istat evidenzia  come, nell’anno scolastico 2019/20, l’8% degli studenti di ogni ordine e grado sia rimasto completamente tagliato fuori dalla DAD. Una forma d’insegnamento che ha avuto serie difficoltà ad attecchire nel nostro paese, agli ultimi posti in Europa per le competenze digitali. Il numero è cresciuto, salendo al 23 per cento per gli studenti con disabilità. Tutti i dati, purtroppo, confermano questa tendenza.  Una ricerca condotta dalla comunità di Sant’Egidio ha rilevato come tale dato sia salito a uno sconcertante 61 per cento nella periferia romana.

Negli ultimi due anni sono cresciuti a dismisura anche gli abbandoni scolastici. L’indagine Ipsos,“I giovani al tempo del coronavirus”, rivela, infatti, che durante il primo lockdown il 28 per cento degli studenti intervistati conosceva almeno un compagno di classe che aveva abbandonato gli studi. Sempre nello stesso campione, composto da ragazzi tra 14 e 18 anni, quattro intervistati su dieci hanno affermato di non promuovere l’esperienza della DAD.

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Questo sconfortante quadro ha provocato danni psicologici  rilevanti che sono derivati dalla “despazializzazione” dell’attività didattica e dall’isolamento sociale  degli studenti. Sono sempre più gli studi che vanno a cercare di capire questi effetti. Quello condotto in ben cinque continenti e 72 paesi, dalla Hamad Bin Khalifa University del Qatar, rileva che in Europa ben 70 giovani su cento soffrono di ansia, con un aumento esponenziale specie per chi non dispone di quegli spazi che permettono ai singoli componenti di una famiglia di potersi ritagliare la propria intimità.

Vivere costretti in casa ha fatto poi comparire nei ragazzi danni da “regressione psico-evolutiva”, dovuta all’involuzione dello loro socialità, generando  tendenze depressive. In un’età in cui la loro naturale condizione di adolescenti comporta l’uscita dal nido familiare e la costruzione di più forti rapporti paritari con i coetanei la pandemia  ha provocato l’effetto di  riavvolgere i nastri del loro vissuto, serrandoli in una socialità, quella domestica, dalla quale stavano uscendo. È conclamato, infine,  che la DAD abbia contribuito a corrompere la corretta instaurazione dei rapporti orizzontali tra gli studenti e verticali con gli insegnanti, causando un distaccamento socio-emotivo verso entrambi.

In un quadro generale così compromesso sarebbe stato ovvio che la  politica mettesse la scuola e gli studenti al centro dell’attenzione, includendoli all’interno di quel  dialogo che finora è mancato.  Anche il rapporto tra scuola-società e scuola-lavoro andava inquadrato bene e regolato dentro la nuova dinamica dettata dalla post pandemia. Ma così non è stato.

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Lungo tutto lo stivale gli studenti hanno provato a ripetere per l’ennesima volta la loro contrarietà a un percorso di alternanza scuola-lavoro che troppo spesso non ha proprio nulla a che vedere con il corso di studi. Le maggiori associazioni studentesche non si sono dichiarate contrarie all’alternanza scuola-lavoro in sé ma alle attività che vengono proposte, che sono il più delle volte poco attinenti alle proprie competenze. La morte del diciottenne Lorenzo Parelli, schiacciato da una putrella mentre svolgeva il suo percorso di alternanza scuola-lavoro, è stato il campanello d’allarme di una situazione insostenibile: i  ragazzi hanno provato a gridare a gran voce la loro posizione. Come nella peggiore narrazione distopica, le forze dell’ordine hanno accolto tali manifestazioni con una disamante violenza gratuita: cariche, manganellate e zigomi rotti hanno rappresentato l’atto repressivo finale nei confronti di una generazione a cui è stato categoricamente negato il diritto di esprimersi sulla loro formazione.  

Non si sono di certo dimostrati maggiormente empatici i centinai di dirigenti scolastici che hanno scelto la via del pugno di ferro in seguito all’occupazione dei loro istituti. È così che gli studenti che hanno contestato la condizione delle loro scuole, con edifici fatiscenti e che vanno a pezzi, mancanza di materiali e una cronica negligenza nel gestire i fondi – qualcuno per caso ha citato i fantomatici banchi a rotelle? – si sono visti destinati a pulire le stesse aule di cui lamentavano l’incuria per evitare di perdere l’anno. Sottolinea proprio la volontà di reprimere, di instillare una malsana, antidemocratica e cieca riverenza verso le autorità, la scelta di molti dirigenti di sospendere solo i rappresentanti d’istituto e gli organizzatori delle occupazioni, come se, ancora una volta, gli studenti non avessero voce propria.

In conclusione, l’unica e amara constatazione a cui si può giungere è che a nulla è servito questo lungo e snervante periodo di isolamenti da DAD, di invocazioni al cambiamento. La scuola italiana è ferma. Immobile, in un paese che sta facendo pagare ai giovani e alle donne i più rilevanti danni della crisi.

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