Tracce di memoria

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20 Gennaio 2022 - 07.27


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di Marcello Cecconi

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Il Mac, il primo personal computer Apple Mcintosh, fu presentato 47 anni fa, esattamente il 22 gennaio del 1984. Avvenne durante il terzo quarto della finale del Super Bowl XVIII, che vedeva contrapposti i Washington Redskins ed i Los Angeles Raiders al Tampa Stadium (Florida). La partita fu seguita da 77,62 milioni di telespettatori.

Il titolo dello spot? Manco a dirlo era proprio “1984”: un riferimento per niente casuale al titolo del famoso racconto distopico di George Orwell. Il Ceo di allora di Apple, John Sculley, fece le cose in grande. Il progetto fu affidato all’agenzia Chiat/Day, che si rivolse per le riprese al Ridley Scott di Bladee Runner sotto la direzione del pubblicitario Lee Clow. Fu un investimento coraggioso per quegli anni:  900mila dollari per sessanta secondi di video.
La protagonista era l’atleta modella londinese Anya Mayor che interpretava il ruolo di un’eroina anonima che aveva una “grande” missione: presentare al mondo intero quella “cosa” come se fosse la chiave d’accesso a un nuovo futuro proiettato verso l’impossibile. Quella cosa che non era né mostrata né spiegata, era il computer Macintosh che l’attrice aveva raffigurato sulla maglietta suadente. 

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Lo spot

Lo spettatore si trovava a osservare una scena come se fosse tratta da un film, con la giovane e sensuale ragazza che correndo in un salone, inseguita da uomini in divisa, arrivava davanti a un grande schermo e con un energico lancio di martello lo distruggeva. Silenziava così anche il vecchio persuasore (il David Graham di Thunderbirds) che stava incantando i grigi spettatori, veri skinhead ingaggiati a Londra dove furono girate le scene.  

Giovani contro anziani, nuovo contro vecchio. Si mirava a proporre una cultura tecnologica di innovazione oltre che a pubblicizzare un prodotto specifico. Si formava così un nuovo pubblico, quello dei “fan” della Mela. Un attacco rivolto alle “cattive compagnie tecnologiche” che sfornando prodotti di massa omogeneizzano l’individualità e il bersaglio, non troppo nascosto, era l’Ibm che spadroneggiava in quel mercato. E’ accaduto poi, nel corso degli anni, che i Mac sono diventati proprio quello che cercavano di combattere: computer di massa totalmente impersonali.

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L’obiettivo per Apple era quello di far breccia nel mercato puntando su un Pc che utilizzasse interfaccia a icone (cestino, scrivania e finestre di dialogo) anziché un sistema operativo basato su righe di codice. Steve Jobs iniziava a puntare sull’interazione uomo/macchina, insomma un computer facilmente fruibile che non richiedesse l’intervento di un ingegnere informatico ad ogni problema. Un computer da lavori intellettuali più che per ufficio.
  
Lo spot trasmesso ufficialmente solo in quell’occasione impressionò gli spettatori del Super Bowl che dopo la gara presero d’assalto l’agenzia Chiat/Day e la CBS per chiedere informazioni su cose fosse il Macintosh, considerato che nello spot non era stato mostrato. L’eco fu talmente forte che tutte le più importanti stazioni televisive americane ABC, CBS e NBC, trasmisero lo spot nel telegiornale della sera generando qualche milione di dollari di pubblicità “gratuita”.
 
Due giorni dopo lo spot il Mac128k fu lanciato sul mercato ma il successo stentò. Diecimila pezzi venduti sull’onda del lancio pubblicitario e poi vendita quasi azzerata tanto che appena un anno dopo fu necessaria una modifica. I limiti del primo Mac erano nel prezzo troppo alto, 2500 dollari, e nell’hardware ormai obsoleto di solo 128kb di ram che limitavano lo sviluppo di soft appropriati. L’Apple avrebbe avuto tutto il tempo per rifarsi!

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