San Francesco e l’economia di Francesco

Si suggerisce una continuità fra l’economia propugnata dall’esperienza storica di san Francesco (1182-1226) e quella promossa da papa Francesco, da ultimo nell’enciclica Fratelli tutti (3 ottobre 2020).

San Francesco e l’economia di Francesco
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Giacomo Todeschini Modifica articolo

22 Novembre 2020 - 17.02


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Ad Assisi un incontro internazionale di studiosi e di giovani, promosso da papa Francesco, ha dato vita in questi giorni, dal 19 al 21 novembre, a un meeting molto denso di interventi autorevoli (Muhammad Yunus, Vandana Shiva, Jeffrey Sachs, per esempio) denominato “The Economy of Francesco”

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L’obiettivo dell’evento è di affermare l’importanza di “un movimento di giovani con volti, personalità, idee che si muove e vive in tutto il mondo per una economia più giusta, inclusiva e sostenibile e per dare un’anima all’economia di domani”. In una prospettiva, dunque, di economia e di sviluppo economici alternativi alla logica economica effettivamente esistente nella maggior parte del mondo e di solito denominata “capitalistica”.

Il termine ideologico di riferimento dell’iniziativa e più in generale della proposta contenuta nella “Economy of Francesco” è la “spiritualità francescana” intesa in questo caso come realtà storica all’origine di un modello economico contrastante con quello attualmente vigente.  Si suggerisce una continuità fra l’economia propugnata o suggerita dall’esperienza storica di san Francesco (1182-1226) e quella promossa da papa Francesco, da ultimo nell’enciclica Fratelli tutti (3 ottobre 2020). Ossia tra l’economia prospettata da Francesco e dai francescani, nel medioevo e oltre, e l’economia solidaristica o “di fraternità” odierna che si contrappone all’egoismo economico a oltranza e alla guerra economica di tutti contro tutti.

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Francesco d’Assisi, in effetti, è stato ed è inteso come il rappresentante di un paradigma economico alternativo in conseguenza della sua scelta di essere povero, del suo rifiuto del denaro e della sua vicinanza fisica e affettiva ai poveri che non avevano scelto di esserlo. D’altra parte, molti francescani, dal tredicesimo secolo in avanti si sono spesso occupati di economia, e hanno scritto testi sull’organizzazione dei mercati, sul commercio e sul credito, nell’intento di rendere più cristiane le relazioni economiche e al tempo stesso di migliorare il funzionamento dell’economia dei territori in cui si trovavano ad agire. Questo insieme di pratiche di vita e di riflessioni ha fatto del Francescanesimo l’ambiente in cui hanno preso forma vari aspetti della razionalità economica europea; fra questi: l’idea che la povertà economica in quanto condizione di bisogno non equivalga ad un disonore o a un’infamia, ma possa costituire una condizione umana altamente rispettabile in grado di consentire a chi la sperimenta una visione della realtà meno condizionata dall’alienazione nelle cose che si possiedono; l’idea che l’utilità del denaro dipende dalla sua capacità di soddisfare i bisogni reali di persone o gruppi e che il suo uso migliore consiste nel farlo circolare continuamente ossia nello spenderlo e reinvestirlo di continuo; l’idea che l’immobilizzo di ricchezza è negativo dal punto di vista sia morale sia economico; l’idea che il valore delle cose dipende da una molteplicità di fattori, fra cui la loro abbondanza o scarsezza, la loro utilità relativa e l’apprezzamento soggettivo di esse. Questi ed altri principi di analisi economica sono ricavabili sia da testimonianze relative alla vita di Francesco d’Assisi e dalle Regole da lui scritte per l’Ordine francescano, sia, e soprattutto, dagli scritti economici di francescani come Bonaventura da Bagnoregio, Pietro Olivi, Giovanni Duns Scoto, Bernardino da Siena e molti altri fra Due e Quattrocento.

 

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Ci si può domandare in che modo questa esperienza e questi ragionamenti economici hanno avuto a che fare con la storia economica europea e con la nascita del capitalismo. Al tempo stesso ci si può domandare se vi sia una continuità fra l’economia nella prospettiva francescana e l’affermazione dell’enciclica Fratelli tutti secondo la quale Sempre, insieme al diritto di proprietà privata, c’è il prioritario e precedente diritto della subordinazione di ogni proprietà privata alla destinazione universale dei beni della terra e, pertanto, il diritto di tutti al loro uso.

 

Il discorso economico francescano è stato prodotto da una pratica di vita e da un’analisi delle realtà di mercato in un’epoca che vedeva la formazione dei mercati europei e in particolare di quelli finanziari; per questa ragione in questa prospettiva il rifiuto del denaro e l’importanza morale e sociale attribuita alla povertà e ai poveri non fu in contraddizione con un apprezzamento di logiche economiche astratte come quella creditizia e bancaria, sicché le prime banche europee, i Monti di Pietà, furono di fatto fondati molto spesso su iniziativa francescana. Anche il debito pubblico e il profitto mercantile trovarono tra i loro primi sostenitori, nelle città italiane del Trecento e del Quattrocento, colti esponenti dell’Ordine francescano. D’altronde la solidarietà francescana con i poveri e i reietti, e la condanna francescana dell’avarizia e dell’egoismo economico, non si tradussero mai in una condanna della proprietà privata e in una visione sociale analoga a quanto oggi viene definito “giustizia sociale”. Molto semplicemente l’epoca nella quale i francescani e la loro visione economica si manifestarono, i secoli fra il tredicesimo e il quindicesimo, non faceva uso di categorie come quella di equità sociale ed economica, o come quella di sfruttamento del lavoro umano da parte di una minoranza di ricchi.

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La logica e i linguaggi economici prodotti dal Francescanesimo medievale sono dunque importanti da conoscere perché hanno introdotto nel discorso economico e politico europeo una serie di rappresentazioni economiche connotandole in termini moralmente positivi (spendere ossia abbandonare la ricchezza immettendola sul mercato e facendola circolare, si afferma come la più importante di queste rappresentazioni), e viceversa stabilendo la non ammissibilità morale di altri comportamenti economici (prima di tutto quello di chi accumula e non investe o non spende). L’idea di bene comune che fa da sfondo alla riflessione economica francescana, sebbene contenesse una critica dell’egoismo economico e dell’immobilizzo improduttivo dei beni economici, sebbene desse grande importanza al valore potenziale e quindi non solamente monetario di cose e persone, non era e non poteva essere una messa in discussione degli assetti sociali vigenti ossia delle gerarchie politico-economiche. 

 

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Tutto questo rende il pensiero economico medievale, e quello francescano in particolare, certamente rilevante per la comprensione dello svolgimento successivo della razionalità economica europea e anche della formazione di rappresentazioni dell’economia come quelle che oggi conosciamo. Però, come sempre avviene quando si ha a che fare con la trasmissione di concetti e discorsi da un’epoca all’altra, il mondo moderno e contemporaneo ha interpretato la complessità delle riflessioni economiche medievali e quella che, agli occhi moderni, è la loro ambiguità (per cui ad esempio i francescani da poveri evangelici difendevano la ricchezza dei mercanti) in termini contrastanti. Per alcuni i francescani hanno inventato il capitalismo, per altri hanno inventato la critica del capitalismo. Probabilmente la fucina intellettuale francescana ha prodotto nel medioevo argomenti e linguaggi funzionali alla creazione moderna di entrambe le prospettive.

 

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