Inaccettabile paradosso: quando il ridere costruisce il tragico

Morire, anzi continuare a morire, perché qualcuno non vuole rendersi conto che la diversità culturale esiste, e che il ridere ne fa parte, costituisce un tragico, inaccettabile paradosso.

Inaccettabile paradosso: quando il ridere  costruisce il tragico
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30 Ottobre 2020 - 17.52


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Avete mai provato a raccontare una barzelletta a degli stranieri in una lingua che non è la vostra?

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Anche se si tratta della barzelletta più esilarante che conoscete, anche se la vostra padronanza della lingua straniera è buona – l’effetto è praticamente lo stesso. Non ridono. Non la capiscono.

E ancora, avete provato a guardare le vignette che pubblicano i giornali inglesi, americani, francesi … Almeno io, solo molto raramente riesco a riderci e a volte non le capisco neppure. Perché? Perché il comico, la satira, lo scherzo, a dispetto della loro apparente facilità – cosa sembra esserci di più immediato di un risata? – sono in realtà fenomeni di una complessità enorme, in cui giocano fattori psichici, culturali, storici, di costume, situazionali, e chi più ne ha più ne metta.

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Solo il miracolo provocato da una sintesi fra tutti questi fattori – miracolo che spesso si brucia in un attimo, e poche ore dopo si è già spento – permette di mettere in azione ciò che chiamiamo “il comico”. Il quale, non a caso, costituisce un fenomeno così unico che su di esso si è riflettuto fin dall’antichità, e se ne sono occupati pensatori del calibro di Aristotele, Cicerone, Quintiliano, Hobbes, Freud, Bergson e così via.

Tutto questo per dire che prendere sotto gamba il comico, la risata, come se fosse una cosa da nulla, è semplicemente da ingenui. Non si ride tutti quanti delle stesse cose, qui sta il punto, semmai è il contrario.

Ricordo la volta in cui, da militare, scherzando con un commilitone (proveniente da una provincia italiana remota) gli feci una battuta del tipo di quelle che circolavano fra i miei amici di Livorno. Roba che fra noi sarebbe risultata normalissima e anzi, avrebbe provocato una contro-battuta ancora più puntuta e divertente. Il commilitone mise mano alla baionetta – eravamo di guardia – e oltre al suo sguardo, decisamente acceso, ricordo ancora le sue parole: “tu sempre a insultare, sempre a insultare!”. I miei scherzi per lui erano un insulto, non solo non lo facevano ridere, ma lo offendevano. Questo solo per dire che non c’è bisogno di essere musulmani per offendersi di ciò che “noi” riteniamo invece scherzo, satira, presa in giro.

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Ora, essere uccisi per qualche vignetta su Maometto è atroce, non ci stancheremo mai di ripeterlo; e chi decapita altri in nome di ciò, è solo un barbaro assassino. Ma prima di difendere la libertà di satira “coûte que coûte” sarebbe forse opportuno soffermarsi un momento a riflettere sul fatto che non tutti ridiamo delle stesse cose; che i popoli intendono per comico, o per scherzo, cose profondamente diverse fra loro; che la civiltà occidentale, con i suoi valori (libertà di espressione e, nella fattispecie, libertà di satira), in realtà non è affatto l’unica sulla faccia della terra – insomma, che esiste la diversità culturale, in tutte le sue infinite sfaccettature; e soprattutto che il comico, lo scherzo, costituiscono una delle manifestazioni più evidenti di questa diversità, oggi anzi acuita dalle innumerevoli chiusure, opposizioni e tensioni “identitarie” da cui è afflitto il nostro povero mondo.

Morire, anzi continuare a morire, perché qualcuno non vuole rendersi conto che la diversità culturale esiste, e che il ridere ne fa parte, costituisce un tragico, inaccettabile paradosso.

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