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La visione dei "raumlaborberlin" premiata alla Biennale dell'Architettura

Il Leone d'oro per la miglior partecipazione nazionale agli Emirati Arabi Uniti. Clima, migrazioni, rifugiati e cooperazione i temi ricorrenti in questa edizione curata dal libanese Hashim Sarkis del MIT di Boston

La visione dei "raumlaborberlin" premiata alla Biennale dell'Architettura
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31 Agosto 2021 - 14.56


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Al collettivo tedesco “raumlaborberlin” va il Leone d’oro per la miglior partecipazione alla 17esima Mostra Internazionale di Architettura “How will live together” con il progetto Floating University mentre con il progetto Wetland sono gli Emirati Arabi Uniti ad aggiudicarsi il Leone d’oro per la migliore partecipazione nazionale.  Questa edizione della Mostra, a cura della Biennale di Venezia, rimandata l’anno scorso per la pandemia, è aperta al pubblico all’Arsenale di Venezia fino al 21 novembre prossimo.

“Di solito siamo abituati a ricevere il secondo premio, quello assegnato ai più empatici. Siamo felici di aver dimostrato che anche un approccio sperimentale può assumere contorni realistici”. Cosi ha commentato il portavoce del gruppo tedesco che ha presentato una visione di come le costruzioni dell’uomo si possano intrecciare perfettamente con l’habitat di una moltitudine di altri organismi viventi.

I curatori del padiglione degli Emirati, invece, si sono visti assegnare il premio dalla giuria per “aver proposto un progetto che incoraggia a pensare alla delicata relazione tra spreco e produzione in scala globale”.  È significativa, in questo loro esperimento, la cristallizzazione salina che si offre come alternativa sostenibile al cemento.

Il progetto degli Emirati Arabi Uniti

I premi non son finiti qui tanto che il Leone d’Argento per la più giovane promessa è andato alla “Foundation for Achieving Seamless Territory” (Fast), gruppo internazionale di professionisti “che invita a prendere consapevolezza delle pratiche agricole e dei rituali della vita quotidiana nei nuovi insediamenti”. Menzione speciali alle partecipazioni nazionali di Russia (“Open!”) e Filippine (“Structures of Mutual Support”).

Non è mancato il Leone d’Oro speciale “ad memoriam” a Lina Bo Bardi, architetta e designer italiana naturalizzata brasiliana, per la sua capacità di “prestare attenzione alle diversità in architettura, trasformando spazi e luoghi che accompagnano i percorsi di vita delle persone”.

Questa 17esima Biennale, dopo tanto tempo, torna a essere curata non da un architetto “di grido” ma da una figura in cui l’aspetto critico domina. Si tratta di Hashim Sarkis, libanese, preside della School of Architecture and Planning del Mit di Boston, che ha impostato il percorso muovendo da una forte componente teorica per giungere ad una messa alla prova della pratica. Si parte dalla dimensione urbana e macro-territoriale e dagli ecosistemi per procedere addirittura verso la dimensione planetaria, visto che si contemplano addirittura progetti di colonizzazione lunare.
 
Un centinaio i partecipanti da 46 Paesi diversi con un’età media di 40 anni e in buona parte legata al mondo dell’università e della ricerca. Assenti progetti di edifici iconici ma numerosi quelli meno vistosi e complessi sotto il profilo sociale e quelli in cui la ricerca tecnologica è strutturale e non applicativa. Insomma i cambiamenti climatici, le migrazioni, i rifugiati e la cooperazione, che erano temi assenti in altre Biennali, in questa diventano valore organico. Le periferie di ogni genere sono tema ricorrente come lo è l’invito a riflettere quanto i confini di ogni tipo siano impensabili in questo attuale sistema spaziale stravolto dalla rivoluzione digitale, facendo dell’architettura uno strumento flessibile aperto agli impulsi dal basso in una logica partecipativa e inclusiva.

a cura di M.Cec.

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