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«Serve un'architettura sostenibile». Così Guendalina Salimei crea il “chilometro verde” al Corviale

L’architetto interviene al festival a Roma “Spam”. Qui parla del progetto per il mega-edificio, del film della Cortellesi e Milani ispirato al suo lavoro, di discriminazione delle donne

«Serve un'architettura sostenibile». Così Guendalina Salimei crea il “chilometro verde” al Corviale
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12 Ottobre 2019 - 09.35


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Guendalina Salimei è l’architetto che sta rinnovando un pezzo delle tanto discusse periferie: con il T-Studio di Roma di cui è responsabile sta mettendo in sesto e modificando un piano del Corviale, il “Serpentone” alla periferia ovest della capitale lungo un chilometro, il mega edificio completato nel 1984 ed eletto suo malgrado a emblema di un’architettura a dis-misura umana e dei quartieri dormitorio per i meno agiati. Romana, 62 anni, alla direzione di progetti italiani e all’estero fino in Vietnam, Guendalina Salimei lunedì 14 interviene a “Spam” – Settimana del progetto di architettura nel mondo”, festival in corso fino al 18 ottobre alla Casa dell’architettura in via Manfredo Fanti 47 all’Esquilino e organizzato dall’Ordine degli architetti di Roma.

Il sito del festival Spam

Docente universitaria oltre che progettista Guendalina Salimei è anche, per caso e non per sua volontà, un personaggio da film. Letteralmente: a lei e al suo progetto per il Corviale si sono ispirati Paola Cortellesi e il regista Riccardo Milani nella divertente e in fondo dolce-amara commedia Scusate se esisto! Nel film del 2014 l’attrice interpreta un architetto: a Londra è compresa e apprezzata per il suo lavoro, ritornata in Italia viene sistematicamente umiliata e messa da parte perché donna sebbene abbia idee folgoranti. Soltanto quando Paola Cortellesi con un escamotage fa attribuire un progetto a un amico, Raul Bova, allora quell’intervento per il quarto piano del Corviale viene accolto.

Architetto, lunedì 14 alle 12 al festival Spam lei partecipa alla tavola rotonda “Cityscapes”, per cui partiamo da una domanda posta dell’incontro: “Nuove infrastrutture, realmente sostenibili, possono disegnare nuovi paesaggi urbani”?
Nuovi paesaggi urbani vuol dire trasformare il pensiero sulla trasformazione della città. Ovvero si pensa a infrastrutture sostenibili: il territorio deve avere infrastrutture “verdi”, sistemi di mobilità dolci ed efficienti, grandi spazi per percorrere la città a piedi. È un tema piuttosto complesso e riguarda in primo luogo Roma.

La capitale ha molto verde ma soprattutto sui trasporti urbani per i romani è una pena.
Sì, gli spazi verdi ci sono ma per le mobilità dolci siamo messi male. È molto grande, è dieci città italiane messe insieme, Milano è un decimo, pone problematiche particolari però ha risorse, ha grandissimi spazi verdi e grandi piazze. Questi luoghi vanno connessi. Il tema più difficile è quello delle macchine: in un centro storico come il nostro devono essere limitate, sono tantissime ed è un gran peccato, occorrerebbero spazi appositi per le auto. Roma è difficile anche perché ha un grande patrimonio di stratificazione come nessuna città al mondo ed è complicato connetterlo con il resto.

A suo parere come è stata gestita politicamente, diciamo negli ultimi anni, la capitale?
Necessita di idee per valorizzarla. È uno sforzo fatto in molte grandi città, penso a Parigi o Londra. Secondo me ci vogliono idee, un po’ come proviamo a fare nelle periferie: la città ha una grande territorio periferico.

Appunto, le periferie. A che punto è il progetto suo e del suo T Studio del “chilometro verde” per riqualificare il quarto piano del Corviale?
È partito, lo stiamo realizzando, il cantiere è in atto. I tempi realizzazione sono più o meno cinque anni, speriamo di arrivare a tre. È un chilometro di abitazioni con più spazi collettivi. L’idea del progetto è riabilitare questo piano che era abusivo, occupato, in una serie di abitazioni che abbiano piccoli spazi comuni e si relazionino in modo diverso tra loro. Non vogliamo un “piano servizi” totale come aveva progettato Mario Fiorentino ma intervallare alloggi con piccoli spazi comuni per gli abitanti. Questo è stato possibile perché il concorso è stato pensato così: si parla di “chilometro verde” perché verde è il colore della sostenibilità e dell’inserimento del paesaggio. È una infrastruttura dell’abitare, è una sorta di acquedotto della contemporaneità. Sul Corviale si sono dette tante cose ma era anche un tentativo di risparmiare il consumo di suolo. L’idea era trasformare un complesso di abitazioni anche con spazi di condivisione, collettivi: c’è anche una chiesa, che lasciamo, che aveva “occupato” il lotto iniziale del quarto piano, ci sono altre sale condominiali che lasciamo come luoghi pubblici.

A proposito del film di Milani e Cortellesi, quanto pesano ancora i pregiudizi sulle donne professioniste? Anche nel campo degli architetti?
Premetto: l’architetto è mestiere maschile. Sono spesso capo progetto, perciò tale mi trovo tante volte in riunioni con 50 persone dove sono l’unica donna, il mestiere ha a che fare con il cantiere, è legato a operai. La percentuale non è minima all’università dove insegno, le studentesse sono tante. Come in tutta la società c’è ancora molta discriminazione, lo vediamo nei numeri. Dirigo uno studio per cui ho tentato una operazione diversa. Cortellesi e Milani si inventarono la storia per raccontare un disagio. Il nostro mestiere non ne è esente come altri mestieri. Nel mio caso oggi sono rispettata nelle riunioni come un uomo, anzi a volte essere donna diventa un vantaggio perché abbiamo caratteristiche e punti di vista diversi nella gestione di progetti e di un cantiere, il che aiuta.

Come avvenne che l’attrice e il regista pensarono a lei?
Prima vollero fare un film a partire da me, e mi stupii non poco ed ero restia, poi si entusiasmarono al progetto del Corviale. La Cortellesi e Milani sono stati fondamentali nell’attirare attenzione sul tema: è un film vero, divertente, dà una forma di positività che nel nostro mestiere è un po’ assente, è sempre considerato mestiere dove si fanno cose strane, nei programmi politici non c’è mai niente sull’architettura.

Da qualche anno si parla molto di periferie. Renzo Piano ha parlato di “rammendo”. Una buona architettura, con edifici pianificati insieme a infrastrutture, può contribuire a frenare emarginazione e degrado?
Sì, tantissimo, l’architettura è importantissima per arginare e contrastare il degrado. Penso al Corviale: sta diventando un quartiere di esempio per riqualificare, stiamo ristrutturando anche una scuola, ci sono attività e spazi partiti dal basso, c’è un centro collettivo dove si fa ginnastica la mattina, mostre, convegni, riunioni, c’è una biblioteca, i cittadini partecipano. Varie forze convergono per riqualificare questi posti: sembrava impossibile invece si fa. Per questo sono in disaccordo con il buttar giù le “Vele” a Scampia a Napoli: l’architettura non può risolvere i problemi sociali. Il problema in questi grandi quartieri periferici con piani di edilizia economica popolare è l’aver voluto mettere tutte persone disagiate nello stesso quartiere: mancava quella composizione mista che funziona nella città. Se metti tutti disagiati in un quartiere anche se è Versailles quel quartiere si degrada. Oltre tutto le persone vengono messe in un posto lontano e irraggiungibile quando invece deve essere collegato con una mobilità semplice. Se inseriamo realtà sociali diverse, per esempio chi ha creatività e voglia di cambiare, cambia la composizione sociale ed è importantissimo. La città è fatta di tantissime persone diverse.

Si è anche parlato di buttar giù il Corviale.
Per fortuna l’ipotesi è tramontata. Lo stiamo ripensando e l’esperimento è positivo. Ovviamente stiamo trasferendo moltissima gente dal quarto piano senza buttarla per strada. Va fatto tutto con progetti pensati anche se alla politica manca progettualità.

Lei e il T-Studio oltre che su Roma dove lavorate?
Stiamo facendo altri progetti al porto di Napoli, quello di Taranto, aree per l’appunto degradate, in Italia stiamo riorganizzando aree particolari, e lavoro tra l’altro in Vietnam.

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