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Sicilia. La Riserva dello Zingaro partorita e salvata dalla protesta

Un paradiso di profumi, acque incontaminate, vegetazione e fauna che è "La Svizzera siciliana". E' stata la battaglia popolare a salvare la terra

Sicilia. La  Riserva dello Zingaro partorita e salvata  dalla protesta
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30 Aprile 2018 - 10.23


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di Delia Vaccarello

 

Per molti “E’ la Fiat che non inquina” o “”la Svizzera della Sicilia. Stiamo parlando della riserva naturale dello Zingaro, chilometri e chilometri di costa mozzafiato da Scopello a San Vito Lo capo. Non trovi una carta per terra nè una bottiglia di plastica.  E l’acqua di mare ha la trasparenza delle sorgenti. Un luogo che mostra il paesaggio e la forza dei simboli (www.riservazingaro.it). All’ingresso dal lato Scopello si accede tramite una galleria potremmo dire “in erba”. Rimasta ferma nel tempo a memoria dello scempio che è stato scongiurato. La volta è maestosa, le pareti sono di roccia viva. All’arrivo un “targa” in legno ti dice che la riserva è frutto della mobilitazione popolare. Oggi sappiamo che tale protesta ha segnato l’inizio di una lenta rivoluzione. Da lì, da quella ferita nella roccia provocata a colpi di dinamite, doveva passare una strada asfaltata. Possiamo immaginare che in breve tempo sarebbero sorti villaggi turistici villini bar ristoranti. E il profumo del fiordaliso palermitano, dell’erba Perla mediterranea, delle altre specie vegetali che hanno sul visitatore l’effetto di un benefico aerosol sarebbero stati neanche un ricordo. Nel 1980 la popolazione siciliana sensibile ha detto di no, e le dimostrazioni hanno avuto la meglio. Lo scatto di orgoglio dei siciliani non ha permesso al tradizionale mix di sopportazione, collusione, lagna e migrazione di spuntarla. “La riserva è stata solo l’inizio”, dice con fierezza e competenza il forestale che lavora stagionalmente alla riserva dal 1985 e che ogni giorno stacca il biglietto di ingresso di 5 euro ad americani, francesi, giapponesi, italiani del nord e qualche siciliano (giungono qui 40 per cento stranieri, 40 per cento dall’Italia del Nord, 20 per cento meridionali e siculi). La marcia “no auto “ avvenne nel 1980 e da quella marcia – ci dice – sono nati 19 riserve e 3 parchi.

La popolazione ha dato la sveglia, e le istituzioni hanno smesso l’abito della stolidità. E’ iniziata l’era della protezione del patrimonio paesaggistico siciliano, un bene dell’umanità (e anche dell’animalità). Il risultato è una specie di paradiso (se vedessimo questo nell’aldilà mica sarebbe male) alla portata non più dei pionieri. Prima , infatti, negli anni Ottanta percorrere i circa 8 chilometri sulla costa o salire sui pizzi, dormire nei rifugi, era impresa per gli allenati, oggi c’è un sentiero che conduce in poco più di due ore da una parte all’altra della riserva, e nelle tappe i musei ti mostrano la palma nana, l’olivastro, l’euforbia che ti sono compagni in tutto il percorso, regalando profumi e forme tutt’altro che addomesticate. Quando lo sguardo spazia a cercare l’orizzonte e ti trovi in prossimità del museo della Manna, vedi le tonnare di San Vito da una parte e pochi metri dopo riesci in lontananza a scorgere il profilo dei faraglioni di Scopello. In giù a picco sul mare l’inaccessibile cala Varo, un trionfo di acqua turchese tra rocce calcaree. Ancora. Nella riserva si può anche dormire, per una permanenza che nulla ha della faziosità del villaggio turistico. La riserva ti avvicina al “reale”, paesaggio che nel silenzio si offre a chi respira e coglie i nessi che non separano i mondi vegetale, animale, aereo, cosmico. Basta prenotarsi, si possono passare due notti, muniti di sacco a pelo acqua e viveri nelle rustiche casette sulla montagna. Dopo….; dopo due risvegli tra i richiami degli uccelli che rimbalzano tra la vegetazione e sulle gole, i fruscii delle donnole o dell’istrice, la luce che sembra attraversare il mondo senza soffermarsi sulle offese e gli spasimi dell’uomo; dopo…. quando si esce dalla galleria, che fu l’inizio, porti nei muscoli e nei polmoni la traccia indelebile di un contatto originario. Estatico.

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