“Di parlarti non ho coraggio”: in uscita gli inediti di Alda Merini che raccontano l'amicizia con Roberto Volponi

Una raccolta poetica che svela l'intenso legame tra la poetessa e Volponi, in una commistione di amore, perdita e dolore pubblicata da Interlinea.

Alda Merini
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18 Ottobre 2024 - 18.18


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Il 1989 segna la svolta per Alda Merini, con un’annata densa di tormenti e slanci creativi, culminata nella composizione di versi che vanno oltre il semplice atto poetico, e in questo modo, assumono la forma di un canto funebre, un’elegia in memoria di un’anima giovane e vibrante di Roberto Volponi, figlio dello scrittore Paolo Volponi, tragicamente scomparso in un incidente aereo di ritorno da Cuba.

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È proprio in questo doloroso contesto che nasce “Di parlarti non ho coraggio”, una raccolta che raccoglie frammenti di un’amicizia irripetibile, soffusa di quella luce crepuscolare che solo le anime ferite possono emanare.

Roberto Volponi, giovane idealista, trovava rifugio insieme alla poetessa nel bar-libreria Chimera, un microcosmo di intellettuali e sognatori incastonati nei Navigli milanesi, dove ogni incontro assumeva una dimensione quasi rituale, permeato da un’aura di tensione creativa. Le notti trascorse tra quei tavoli, circondati da libri polverosi, si caricavano di un’intensità inaspettata, quasi mistica, che culminava in dialoghi inesauribili, fino a quando la morte, improvvisa e crudele, pose fine a quel “rituale della parola”.

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Figura travagliata della poesia novecentesca, Alda Merini ha saputo trasmutare il proprio dolore esistenziale in una voce profonda e personale, capace di attraversare gli abissi più profondi della sua psiche per restituirli con una rara purezza.

Come un’alchimista dei sentimenti, ha plasmato il lutto in versi, con le sue storte di cristallo vetroso, dal profilo adamantino, lucenti, fluidi eppur duri al tempo stesso, immersi in un’atmosfera onirica e sospesa, dove la realtà si dissolve in una materia sfuggente e insondabile. La sua macchina da scrivere, usurata e malconcia, è diventata lo strumento attraverso cui le sue parole, spesso trascritte con fatica su carta carbone, hanno assunto una forma palpabile, quasi visibile, dell’invisibile.

Il curatore di questa preziosa raccolta, Ambrogio Borsani, anch’egli frequentatore del Chimera, ricorda come la Merini vedesse in Roberto una purezza d’animo unica, un giovane animato da un’infinita curiosità e da una fede incrollabile nelle utopie. Questi versi inediti, scritti con amore platonico e dolore della perdita, si dipanano in un gioco di luci e ombre, dove il confine tra l’amicizia e l’amore appare sfumato, incerto, ma non per questo meno vibrante di autenticità.

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