Muhammad Alì, grandezze e tradimenti di un campione opinion leader

Una vita tra pugni, donne, l’Islam, Malcom X e il no alla guerra in Vietnam nella biografia di Jonathan Eig. Dal "boxare danzando" alla lotta al Parkinson

Muhammad Alì, grandezze e tradimenti di un campione opinion leader
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24 Settembre 2019 - 12.52


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Marco Buttafuoco

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Questo lavoro sul pugile di Louisville, Muhammad Alì, la vita, è il primo libro di Jonathan Eig tradotto in italiano. Lo scrittore ha già pubblicato negli USA altre tre opere: quella su Jackie Robinson (il primo atleta di colore a giocare nelle Major Leagues del baseball), quella, bellissima, su Lou Gherig, leggenda malinconica del “batti e corri” (sul grande schermo fu Gary Cooper a interpretare questo eroe dalla vita breve), una su Al Capone. La scarsa confidenza del pubblico italiano con le apparentemente algide alchimie del baseball ha probabilmente impedito edizioni italiane dei primi due libri; resta un enigma come sia passata sotto silenzio quello sul gangster: Jonathan Eig è davvero un magnifico biografo, come riconosce oramai tutta la critica americana.

Personaggi sovraesposti
Si noti innanzitutto come i suoi personaggi siano tutti da, un punto di vista editoriale e cinematografico, molto sovraesposti. La bibliografia su Muhammad Alì, ad esempio, è nutritissima. Gherig, Robinson e Capone sono parte dell’immaginario americano. Il pregio maggiore della scrittura di Jonathan Eig sta nel raccontare quelle vite senza cadere nella tentazione di alimentare una nuova mitografia, ma anche evitando quella di distruggere la leggenda. Le quasi ottocento pagine su Alì sono dense, documentatissime (Eig ha consultato in anteprima le fonti archivistiche della FBI concernenti il pugile e la Nation of Islam, l’organizzazione radicale cui egli aderì molto presto), ricche di nuove testimonianze. Con l’acribia tipica degli scrittori di cose sportive americane, Eig ha commissionato addirittura uno studio sul numero di pugni da cui Alì fu colpito nella sua carriera; decine e decine di migliaia, fra combattimenti e sedute di allenamento. Questi pugni non sono un dato statistico, sono invece il fondale sonoro, gli accenti irregolari del ritmo narrativo della seconda parte, quella che narra la decadenza.

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Il rifiuto alla leva militare
Aveva perso, con l’età e a causa del lungo ostracismo cui fu soggetto dopo il suo rifiuto alla leva militare, quel boxare danzando che lo aveva reso uno dei pesi massimi più innovativi. Fu quindi costretto a giocare molte carte proprio sulla sua capacità di incassatore. Durante le sedute chiedeva ai suoi sparring partner di colpirlo più forte, per abituarsi a meglio sopportare combattimenti con avversari più giovani e fisicamente più forti di lui. Incontri come quello con Foreman a Kinshasa o con Frazier a Manila furono poco meno che risse selvagge, i cui segni restarono per sempre sul corpo dei protagonisti. Quella di Eig è una scrittura essenziale, sfrondata delle iperboli e delle metafore ardite di cui è intessuta e afflitta, da sempre, molta prosa giornalistico- sportiva: riesce a mantenere un ottimo equilibrio fra storiografia e letteratura, fra analisi tecnica e racconto sociale.

Un personaggiodi rilievo  del ‘900
Alì è stato un personaggio di assoluto rilievo nella storia del’900, segnata, soprattutto nell’ultima parte, da una crescente importanza del ruolo della comunicazione sociale. La frase con cui rifiutò nel 1966 la chiamata alle armi, “Io non ho niente di personale contro i Vietcong.” diventò uno slogan universale della cultura pacifista. Quella frase gli costò molto in termini di carriera sportiva e di guadagni. Nel 1966 Alì, che aveva anche cambiato il suo nome, rifiutando quello” da schiavo” di Cassius Clay, era forse l’uomo più odiato d’America. Quarant’anni dopo, commosse il mondo intero accendendo, con le braccia rese malferme dal Parkinson, il tripode olimpico ad Atlanta. Eig racconta benissimo questa storia di lotta e di dolore, di istrionismo e consapevolezza, di feroce fedeltà al suo mestiere di combattente e alle sue idee di musulmano, ma anche debolezze e tradimenti. Il più grande fu forse perpetrato contro quel Malcom X che fu il primo a vedere in lui un potenziale leader. Quando Malcom si allontanò dalla Nation Of Islam, Alì si schierò contro di lui e a fianco dell’organizzazione. Si rese conto, in seguito, di quanto il suo atteggiamento avesse contribuito a isolare l’amico, che fu poi ucciso nel 1964 da sicari della Nation of Islam.

“Coerenza dilaniata”
Alì fu un uomo di “coerenza dilaniata”, un grande promotore di se stesso e un pessimo amministratore delle sue sostanze, un uomo generosissimo ma al contempo capace di tradimenti meschini (la sua ipersessualità creò problemi e traumi nella sua vita familiare), un leader che non aveva una cultura definita; era addirittura dislessico e non aveva mai letto il Corano per intero. Fu un predicatore ( i suoi lunghi proclami hanno il ritmo dei sermoni delle chiese del profondo sud, quel ritmo che risuona in tutta la musica afro-americana), una icona pop, fu il primo atleta a trascendere il suo ruolo e a diventare, non suo malgrado, una sorta di opinion leader.
Le biografie non sono mai definitive; ogni vita può essere studiata e approfondita da mille angolature diverse. Eig stesso ammette che il suo lavoro non chiuderà la discussione su Alì; resterà comunque una pietra miliare per gli appassionati e un libro importante per chi ama la buona Storia.

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Jonathan Eig, Muhammad Alì, la vita , 66thandS2nd, pag 765, 25 €

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