“L'Europa tratta i rifugiati come gli ebrei quando fuggivano dal nazismo”

Parla Jeroen Olyslaegers, autore di lingua fiamminga dello splendido romanzo "Wil" sull'occupazione nazista della sua Anversa: “Il fascismo cresce perché molti si sentono esclusi”

“L'Europa tratta i rifugiati come gli ebrei quando fuggivano dal nazismo”
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1 Marzo 2019 - 13.08


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Rock Reynolds

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“Ti chiederai, caro ragazzo, perché andassi dietro a quei tizi. Fermarli, non potevo, senza l’uniforme addosso non avevo l’ombra di una possibilità, e la mia presenza in borghese, in seguito avrebbe potuto rivolgersi contro di me.” È con queste parole che l’ottuagenario Wilfried Wils inizia a raccontare al nipote la scena del saccheggio della sinagoga di Anversa, durante la Seconda Guerra. Quando si è in guerra, i confini tra bianco e nero, giusto e sbagliato si sfumano. O, forse, è una scusa per tacitare la coscienza.
WIL (edizioni E/O, traduzione di Mario Corsi, pagg 313, euro 18) è lo splendido romanzo di Jeroen Olyslaegers, autore di lingua fiamminga, che ci racconta gli orrori della guerra e la banalità del male che si annida nel quotidiano, trasmettendo uno senso di malata normalità a un capitolo poco nobile della storia belga. Sono tanti i libri che affrontano l’Olocausto e gli orrori nazifascisti. WIL non è esattamente un libro sulla Shoà così come non è semplicemente un romanzo storico, ma riesce a essere entrambe le cose e parecchio altro. Soprattutto, riesce a mantenere un tono lieve, sfiorando il grottesco senza mai abbandonarvisi e raccontando microstorie che, incastonate nel quadro generale di una guerra senza fine, fanno sorridere. E Olyslaegers ha tanto da dire anche quando lo si interpella sulle grandi tematiche del suo libro così come su quelle dell’Europa attuale.

Il suo libro descrive la città di Anversa in un momento particolare, ma è pure la storia di un’amicizia. Ha raccolto testimonianze orali di persone che ha conosciuto o che qualcuno della sua famiglia ha conosciuto?
WIL non si basa su testimonianze dirette o storie personali. L’ispirazione l’ho tratta da un rapporto di polizia scritto da un agente che aveva preso parte a una specie di pogrom nell’agosto del 1942. Nel rapporto, di fatto, inchioda se stesso. Il documento mi è stato passato dal professore di storia Herman van Goethem che recentemente ha pubblicato un saggio su quell’anno cruciale.

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Che tipo di ricerca ha svolto?
È partito tutto da quel rapporto di polizia. Dopodiché, van Goethem mi ha fornito un sacco di dati grezzi della polizia. Siccome io non sono uno storico, non è stato facile districarmi. Fortunatamente, dagli anni Novanta, nel Belgio fiammingo è stata pubblicata parecchia roba. Ho trovato pure diari, raccolte di barzellette del dopoguerra, testimonianze scritte oscure in negozi di libri di seconda mano e uno studio molto interessante sulla polizia di Anversa del periodo scritta da un poliziotto. Tutti quei testi mi hanno consentito di ricreare la giusta atmosfera e, addirittura, il modo di parlare del tempo e certi dettagli dell’ambiente.

Nella sua famiglia ci sono mai stati poliziotti o collaborazionisti?
Mio nonno materno era un nazionalista fiammingo collaborazionista, ma non un poliziotto.

Parlare della guerra è ancor oggi alquanto controverso in Italia. Il Belgio ha fatto i conti con l’occupazione nazista che ha subito?
Sì e devo dire che è stata una grande sorpresa. Prima della pubblicazione del libro, pensavo che potesse essere controverso. Invece, di controversie non ce ne sono state minimamente. Il mio libro è stato accolto bene tanto dalla sinistra quanto dalla destra. Credo che questo lasci intendere che abbiamo raggiunto una certa maturità come popolo. La città di Anversa ha fatto le scuse alla comunità ebraica (per ben due volte, con un sindaco socialista e con uno nazionalista fiammingo) e cerca attivamente modi per commemorare onorevolmente il passato. Si può discutere della bontà di certe scelte politiche della città, ma questa è una cosa di cui andare fieri.

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Una cosa che mi ha colpito molto del suo libro è il modo in cui lei ricrea la vita in tempo di guerra, dando la sensazione che fosse possibile tutto sommato condurre un’esistenza normale malgrado l’occupazione nazista. È stata una sua scelta?
È l’idea centrale del libro. Ho addirittura inventato una parola fiamminga che la indica, “normaalzucht”, ovvero l’aspirazione ossessiva alla normalità. La prima volta che me ne sono accorto è stato nell’estate del 2014. Il figlio di mia moglie vive in Israele e noi siamo andati a trovarlo. Nel corso della nostra visita, Gaza è stata bombardata per settimane. Ovviamente, Hamas ha tentato di fare rappresaglie e il risultato è stato una strana miscela di vita in una città quasi europea come Tel Aviv, con allarmi anti-bomba. Nessuno si è fatto male in Israele (forse una donna ha avuto un infarto), mentre a Gaza ci sono state tante vittime. La gente ha seguitato a vivere come se niente fosse. Questo senso di normalità era ovunque, persino quando la gente entrava nei rifugi in caso di allarme-bomba oppure bloccava le automobili sulle strade e proteggeva i bambini. La cosa mi ha davvero colpito profondamente.

La scena del saccheggio della sinagoga è una delle mie preferite del libro…
È una scena molto vicina alla realtà storica di ciò che accadde quel giorno.

Come sono percepiti gli ebrei nel Belgio di oggi?
Ci sono esponenti della comunità ebraica che hanno dichiarato che l’antisemitismo è in crescita. Credo che si tratti di preoccupazioni da non sottovalutare. C’è però un po’ di confusione tra antisemitismo e antisionismo e bisognerebbe parlarne attentamente e affrontare la questione con altrettanta cautela. Però, credo che la “questione razziale” si sia spostata dall’antisemitismo a una critica feroce della comunità islamica, finendo per trasformarsi in plateale razzismo, sostenendo che il fondamentalismo sia l’elemento primario dell’Islam. La questione dei rifugiati di un paio d’anni fa per molti versi ricorda il modo in cui gli ebrei vennero trattati nei tardi anni Trenta quando tentavano di sfuggire agli orrori nazisti.

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Il fascismo è in forte crescita in molti paesi europei e pure in Sudamerica. Lei cosa ne pensa?
Il fascismo è in crescita perché molti europei non si sentono rappresentati dall’Unione Europea, si sentono esclusi e non hanno tratto alcun vantaggio dalla politica neoliberistica nata con la Thatcher e Reagan. Ora possiamo parlare di un’intera generazione trascurata. A causa della nostra paura del fascismo, molti intellettuali in passato hanno scelto di sminuire questa gente o di criticare aspramente le loro vedute estremiste. Questo non ha aiutato affatto. Macron in Francia è in grave difficoltà per la sua arroganza e per le sue tasse inique. Se non affrontiamo questi problemi, perderemo tutto quello per cui i nostri nonni hanno lavorato.

Il nonno è uno dei protagonisti del suo romanzo e racconta al nipote la sua vicenda personale e, con essa, la guerra. Ha davvero avuto un nonno così?
Mio nonno non la smetteva mai di parlare della guerra e di quello che è successo dopo il 1945. Era ossessionato dal suo passato collaborazionista, come se avesse eretto una casa di ricordi della guerra. Io ero il benvenuto in quella casa, ma le cose cambiarono quando iniziai a fare domande su tabù che a me sembravano stanze chiuse a chiave. Mi rispondeva che non avrei mai capito, dato che quelle cose non le avevo vissute di persona. In un certo senso, questo libro è la mia vendetta contro un nonno a cui ho voluto tanto bene. Credo che la letteratura possa aiutarti a capire qualsiasi cosa.

Oggi assistiamo, come detto, a un’insorgenza del nazionalismo di stampo neofascista. Ma assistiamo pure a rigurgiti di un altro tipo di nazionalismo, un nazionalismo legato alla storia culturale di paesi calpestati da potenze maggiori. Paesi Baschi, Catalogna, Irlanda. A che punto stanno le cose nel Belgio fiammingo?
È una faccenda molto complicata. Nelle Fiandre non esiste un movimento nazionalista di sinistra. I nazionalisti fiamminghi cercano l’indipendenza, ma sono imbarazzati, per esempio, dal movimento nazionalista scozzese, che è davvero di sinistra. Ovviamente, adorano la Catalogna, ma non sanno nulla della forza della sinistra di quel movimento nazionalista. Le loro pretese indipendentiste sono sempre latenti nell’arena politica belga. Talvolta, svolgono un ruolo primario, ma finiscono sempre per scontrarsi con il rifiuto assoluto dei politici francofoni di fare concessioni su quel fronte e il paese si trova in una situazione di stallo, di vera e propria crisi politica.

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