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Finalisti Strega, tante storie sul ventennio fascista sono un sintomo

La sera del 5 luglio la proclamazione a Roma. La scrittrice Elvira Seminara a l’Espresso: bene l’attenzione degli autori a temi come le leggi razziali

Finalisti Strega, tante storie sul ventennio fascista sono un sintomo
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redazione Modifica articolo

4 Luglio 2018 - 15.50


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Il premio letterario più noto e mediatico della penisola, lo Strega, arriva al traguardo. Giovedì 5 luglio si tiene la serata al Ninfeo di Villa Giulia a Roma con lo spoglio dei voti e la proclamazione del vincitore o della vincitrice. Sì, vincitrice perché sui cinque finalisti tre sono scrittrici: Helena Janeczek con “La ragazza con la Leica” (Guanda) sulla fotografa Gerda Taro, Lia Levi con “Questa sera è già domani” (Edizioni E/O), già vincitrice del Premio Strega Giovani 2018 e Sandra Petrignani “La corsara” (Neri Pozza) su Natalia Ginzburg, mentre gli scrittori in corsa sono Marco Balzano con “Resto qui” (Einaudi) e Carlo D’Amicis “Il gioco” (Mondadori).

Al di là dei dibattiti costanti sul peso delle case editrici e sulle votazioni, Mondadori su tutte, in un confronto a più voci organizzato da l’Espresso la scrittrice Elvira Seminara ha fatto un’osservazione che travalica il campo letterario o della società delle lettere italiana e che rimanda a una riflessione di più autori sul periodo tra gli anni ’20 e gli anni ’40 del secolo scorso probabilmente non casuale con i nostri tempi: ”Con esclusione de “Il gioco”, tutti e quattro affrontano gli anni tra i Venti e i Quaranta del Novecento: Lia Levi parlando di leggi razziali, Balzano di un episodio trascurato della nostra memoria con un campanile sommerso che ha una forza evocativa interessantissima. Janeczek racconta la storia di Gerda Taro, morta durante la guerra civile spagnola, Natalia Ginzburg, della Petrignani, non ha bisogno di didascalie. Il fatto che questi libri siano stati scritti e premiati mi fa pensare che ci sia un percorso di riappropriazione di anni di fragilità a noi prossimi. C’è qualcosa che ci avvicina – dice ancora la scrittrice a l’Espresso – che ci fa paura in questo contatto con la storia recente: la fragilità, la precarietà, la perdita di relazioni civili. Anche nei libri esclusi c’erano elementi simili: ne “Il sangue giusto” di Francesca Melandri, che racconta la relazione con lo straniero; in “Dalla mia terrazza si vede casa tua” di Elvis Malaj, storia di transizione tra Italia e Albania. A me sembra che proprio la transizione sia la categoria sfuggente, friabile, screpolata, che accomuna i libri. Transizione anche nel corpo, come nelle storie di amori impediti o di trasformazioni sessuali. Mi sembra rassicurante l’attenzione verso questi temi – leggi razziali, solitudine- gli stessi sollevati all’esame di maturità: storie che fanno male, fanno memoria. Mai come oggi essenziale”.

 

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